DOCUMENTARE E PERSONALIZZARE IL CURRICOLO:

VERSO UN PORTFOLIO DI PROCESSI E DI COMPETENZE

 

 

Relazione tenuta al Convegno LEND (Lingua e Nuova Didattica) "Crescere nell'Europa delle lingue", Roma, Università La Sapienza, 15-17 febbraio 2001

 

 

Introduzione

 

In questo contributo vorrei mettere a fuoco alcune problematiche che mi sembrano spesso rimanere in ombra nel dibattito attuale sulla riforma dei cicli scolastici e sulla ridefinizione dei curricoli. Cercherò di argomentare che:

 

 

 

Competenze e processi nel percorso formativo

 

In questa prima parte cercherò di porre e discutere alcune domande che ritengo cruciali:

 

 

Parto con la definizione di competenza fornita dall’Associazione Progetto per la Scuola (D’Alfonso 2000), di cui cito la parte iniziale:

 

“Ciò che, in un contesto dato, si sa fare (abilità) sulla base di un sapere (conoscenze), per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre conoscenza”.

 

E’ sulla base di una definizione come questa che ha senso parlare di competenze attese al termine di un segmento di apprendimento, sia esso un modulo o un ciclo: le competenze attese sono le azioni o prestazioni osservabili fornite dallo studente, azioni che testimoniano in maniera documentabile, ed eventualmente certificabile, il possesso delle competenze stesse.

 

La discussione sulle competenze attese, o in uscita, tende, com’è ovvio e naturale, a concentrarsi sul prodotto finale, sul risultato dell’apprendimento. Sembra rimanere un po’ in ombra il fatto che queste prestazioni finali dello studente, questi suoi campioni di azioni rappresentative delle sue competenze, non costituiscono che la punta di un iceberg, quello che potremmo chiamare il curricolo esplicito. Sotto la superficie agisce anche un curricolo nascosto, ma non per questo meno importante, che condiziona in modo sostanziale la realizzazione delle competenze e delle prestazioni “di superficie”: si tratta di tutte quelle forze, interne ed esterne all’individuo, che condizionano l’apprendimento (e naturalmente l’insegnamento). Stiamo dunque parlando non dei fini, dei risultati, dei prodotti, ma della dinamica di fattori e di operazioni che permettono di raggiungere quei fini, quei risultati, quei prodotti – ciò che io chiamo processi.

 

Cerco di specificare meglio cosa intendo con questa parola usata a volte in modo così generico, cioè che cosa a me sembra di intravedere sotto la superficie, dentro la parte sommersa dell’iceberg (Fig. 1).

 


 

 


Figura 1: Dalle competenze ai processi

 

 

La punta di questo iceberg è costituita dalle competenzeciò che so fare sulla base di ciò che so. Sotto la superficie è logico aspettarsi innanzitutto come io riesca a raggiungere quelle competenze, i miei processi di apprendimento. Tra i processi e le competenze potrebbero stare le mie strategie, un “ponte” gettato tra il profondo dei processi e la superficie delle prestazioni. Il ruolo delle strategie (di apprendimento, di azione comunicativa, di mediazione interculturale) è tutto sommato ancora un po’ ambiguo: appartengono più alla sfera dei processi o a quella delle attività comunicative in cui si attualizzano le competenze? La seconda versione del Quadro Europeo Comune di Riferimento situa le strategie subito dopo le scale illustrative di ogni attività linguistico-comunicativa (Council of Europe 2001: 57 e segg.), dedicando ai processi linguistico-comunicativi il successivo paragrafo (90 e segg.). Si noti anche che a seconda di dove situiamo le strategie, si potrebbe aprire un’altra questione molto intrigante, e cioè se le strategie debbano fare oggetto di valutazione sommativa al pari delle competenze che esse aiutano a raggiungere. In altre parole, si dovrebbe valutare la gamma delle strategie con cui si arriva a comprendere un testo, o basterebbe dimostrare che il testo in ultima analisi è stato compreso? Si dovrebbero valutare i modi in cui si è riusciti a tenere aperta una conversazione, o basterebbe dimostrare che in ultima analisi questa conversazione è stata tenuta aperta?

 

Comunque, trovo proficuo che le strategie abbiano questa posizione di “ponte” tra processi e competenze, questo ruolo di obiettivi strumentali, questo status di abilità operative e procedurali (1). Ma andiamo un po’ più a fondo nel nostro iceberg. Se finora abbiamo considerato il che cosa (competenze) e il come (processi e strategie), arriviamo adesso al perché: perché riesco a fare qualcosa proprio in un certo modo che è il mio e non di altri, ossia il mio stile di apprendimento, i modi specifici in cui uso le mie modalità sensoriali e cognitive, le mie diverse intelligenze e le mie attitudini – il mio modo unico e irripetibile di imparare. Perché faccio fatica a svincolarmi dalla lettura parola per parola mentre il mio amico sembra subito andare al nocciolo degli argomenti? Perché ho bisogno di pianificare quello che devo dire o scrivere, mentre la mia amica si butta e parla e scrive senza tanti preamboli? Perché lavoro meglio da solo mentre mio fratello rende al massimo quando è in un gruppo?

 

Ancora più a fondo, nei recessi della mia personalità, trovo le mie convinzioni e i miei atteggiamenti verso la lingua, la comunicazione, la cultura, verso i compiti di apprendimento e anche verso me stesso in quanto persona e in quanto persona che impara; e, correlato a tutto ciò, la struttura delle mie motivazioni. I perché qui si fanno ancora più basilari, quasi esistenziali (2). Perché Fabio sopporta a mala pena gli esercizi strutturati mentre Alessandro sembra ansioso di trovare una regola per ogni cosa? Perché Chiara reagisce in modo positivo anche di fronte a risultati negativi mentre Francesca sembra quasi aver rinunciato ad imparare una lingua straniera? Così alla base del mio iceberg, e quasi in fondo all’oceano del mio apprendimento, troviamo il perché basilare, perché in assoluto riesco o non riesco a fare qualcosa.

 

Ma gli iceberg vanno di rado da soli – di solito fanno parte di un gruppo più o meno definito. E anch’io come studente non imparo da solo, anzi, a scuola imparo in un ambiente di apprendimento intenzionale e istituzionale. Sono dunque condizionato dagli altri iceberg, compreso quello dell’insegnante che lavora (sarei tentato di dire “impara”) insieme a me, in classe. I rapporti tra me e i miei compagni, tra me e l’insegnante, o, in termini più tecnici, le dinamiche relazionali, i “climi” e le “culture” di classe fanno parte di buon diritto di questa sfera dei processi, perché sono parte integrante delle procedure messe in atto da tutti questi protagonisti, ognuno nel proprio ruolo, da una parte, per imparare, e dall’altra parte, per facilitare l’apprendimento.

 

Come ho già accennato, ho la sensazione che i processi, così come li abbiamo fin qui definiti e illustrati, rimangano tutto sommato un po’ in ombra nel dibattito attuale sulla riforma dei curricoli, continuino ad essere un’”area grigia”. Scriveva qualche mese fa Roberto Fiorini (2000) della necessità di “attenersi al verificabile e visibile”, e nello stesso tempo della necessità di “assicurare che ciò che resta del lavoro didattico – ciò che resta in parte fuori dal giorno dei parametri verificabili e certificabili – pur rimanendo nella penombra, costituisca la base certa della formazione di quelle generazioni per cui domani sarà pieno giorno”. Io vorrei spezzare una lancia affinché ciò che rimane nella penombra sia portato alla luce già oggi, nel vivo del lavoro di classe, perché a queste generazioni di studenti sia data la possibilità di sperimentare e godere del pieno giorno, per quanto possibile, già oggi, nel qui e ora, nella lezione di inglese della terza ora del mercoledì piuttosto che nella lezione di storia della prima ora del sabato: in altre parole, affinché l’”area grigia” non sia più grigia ma il più colorata possibile.

 

 

Esplicitare, documentare, valutare i processi

 

Se i processi possono essere esplicitati e documentati, facendoli uscire dalla penombra alla luce, dal sommerso alla superficie, devono anche essere valutati? Anzi, a monte, potremmo chiederci innanzitutto: i processi possono essere valutati?

 

Vorrei sostenere che i processi possono essere valutati, ma non per gli stessi scopi e con le stesse modalità con cui si valutano, ad esempio, le competenze (Fig. 2).

 


 

 


Figura 2: Competenze e processi nella valutazione sommativa e formativa

 

 

La valutazione delle competenze è spesso sommativa, ha carattere “pubblico” (fino al punto di essere certificata), e si basa su azioni/prestazioni osservabili fornite dallo studente, intese come indicatori di possesso. La valutazione dei processi appartiene invece più alla sfera della valutazione formativa, ha carattere “privato”, nel senso che consente allo studente (ma anche all’insegnante) di controllare l’andamento del suo apprendimento in fase di attuazione, consentendo quindi gli aggiustamenti necessari. Le componenti dei processi non si possono valutare soltanto sulla base di prestazioni direttamente osservabili; spesso è necessario ricorrere a fonti di dati indirette e qualitative come interviste, questionari, resoconti, schede di autovalutazione. L’attendibilità di questa valutazione è data da diversi fattori concomitanti: per esempio, la possibilità di raccogliere dati su un arco di tempo medio-lungo e in svariate circostanze; la possibilità di confrontare dati provenienti da fonti diverse e da osservatori diversi; la possibilità di organizzare e interpretare dati in evoluzione da parte dello studente stesso, oltre che da parte dell’insegnante.

 

Termino questa prima parte citando almeno tre ragioni per cui i processi devono essere valutati, naturalmente nel senso che abbiamo appena descritto:

 

 

 

La proposta di un portfolio di processi e non solo di competenze

 

Come sentiamo l’esigenza di documentare il raggiungimento delle competenze, così, alla luce di quanto abbiamo fin qui discusso, dovremmo sentire l’esigenza di documentare anche i relativi processi, o meglio, di documentare i modi personali in cui si vivono i processi. E’ in questo contesto che ci viene in soccorso il concetto di portfolio.

 

La funzione del portfolio è sostanzialmente quella richiamata dal linguaggio comune. Pensiamo al portfolio di un fotografo, di una modella, di un giornalista: si tratta di una raccolta di testimonianze del proprio lavoro professionale, spesso dei migliori lavori prodotti, che viene continuamente aggiornata per dimostrare a chiunque le competenze raggiunte e quelle in via di sviluppo. In campo educativo il portfolio è usato da tempo in ambienti anglosassoni, e specialmente americani, sostanzialmente con due funzioni:

 

 

E’ questo secondo tipo di portfolio che ha attirato la mia attenzione come esempio di un modo possibile per avviare la documentazione dei processi. Ma prima di vedere come questo tipo di strumento possa esserci utile, dobbiamo ricordare la struttura del Portfolio Linguistico Europeo promosso dal Consiglio d’Europa (Council of Europe Education Committee 1997), che è stato ed è il progetto tramite il quale molti insegnanti si sono accostati per la prima volta all’idea stessa di portfolio. Il Portfolio Europeo, almeno nella sua formulazione originale, si articola in tre parti:

 

 

Il Portfolio Europeo punta dunque sia a documentare le competenze raggiunte, sia a specificare le competenze in sviluppo e persino i traguardi che ci si può porre per il futuro. Io mi sono chiesto se non sia possibile estendere la funzione del portfolio in modo tale da farlo diventare anche uno strumento per documentare, insieme alle competenze, i processi personali di apprendimento. In altre parole, ho intravisto nel concetto stesso di portfolio, prima ancora che nelle sue formulazioni specifiche, la possibilità di utilizzare un simile strumento per raccogliere, sistematizzare e valutare le testimonianze personali del proprio percorso di apprendimento.

 

Noi oggi a scuola forniamo occasioni (sia pure molto diversificate, a seconda delle scuole, per quantità e qualità) agli studenti di esplicitare ciò che ho chiamato con il termine onnicomprensivo di “processi”: penso a tante attività che vengono svolte nella fase cosiddetta di “accoglienza” o in certe “settimane di recupero”; penso ai corsi o lezioni sul metodo di studio; penso ai questionari sugli stili o le strategie di apprendimento; penso alle schede di autovalutazione che sono ormai sempre più spesso presenti nei nostri libri di testo; penso anche ai tanti o pochi momenti informali in cui ci si ferma un attimo, si interrompe per un momento il vorticoso svolgimento delle lezioni e ci si prende qualche minuto per pensare a che cosa si è fatto e a come lo si è fatto. A scuola non mancano dunque le occasioni e i momenti in cui si mettono a fuoco i processi, i modi personali di imparare, i percorsi individuali. Però queste occasioni e questi momenti sono il più delle volte, appunto, occasionali, nel senso che non c’è un filo conduttore che dia un senso di continuità a questo lavoro, sia per lo studente che per l’insegnante.

 

Il concetto di portfolio (e in particolare l’idea di una biografia di apprendimento e di un dossier) potrebbe essere utilizzato proprio come filo conduttore e anello di collegamento di tutti i momenti in cui a scuola si esplora l’evoluzione del proprio profilo dinamico personale. A me sembra che i nostri studenti (ma, detto tra parentesi, anche noi come insegnanti) abbiano bisogno di qualche strumento semplice ma potente per raccogliere e documentare ciò che ognuno di loro scopre su se stesso e sul proprio apprendimento nel corso del tempo. Non penso a strumenti complessi – penso per esempio ad una scheda come quella riportata in Fig. 3 (da Mariani 2000b).

 

 


 


Figura 3: Esempio di biografia di apprendimento (da Mariani 2000b)

 

 

E’ una specie di diario, ma ridotto all’osso e molto schematizzato:

 

 

Le sintesi, ed in particolare le parole e frasi-chiave, mi sembrano importanti sia perché facendo una sintesi “distillo” il cuore delle mie scoperte, sia perché poche parole lapidarie rimangono meglio nella mente, sia, infine, perché le parole e frasi-chiave possono poi essere facilmente trasferite in un altro strumento complementare alla mia “Biografia di apprendimento”, che è il mio “Profilo dinamico personale”. Anche questo strumento è molto semplice: non è altro che un diagramma a ragno o una mappa mentale, vuota, ma pronta per ricevere man mano le mie parole-chiave, che posso organizzare e associare come voglio, e che posso espandere a macchia d’olio e modificare man mano. In questo caso, per esempio (Fig. 4) ho riportato le mie parole-chiave organizzandole per grandi aree – Stili (“Osservo, poi faccio”), Strategie (“Rivedere appunti a casa”) e Convinzioni/atteggiamenti (“Sottovaluto capacità”). Ma potrei invece decidere di associare le mie scoperte in altri modi che mi sono più congeniali, e senza usare “etichette” particolari.

 


 

 


Figura 4: Esempio di schema di profilo dinamico (da Mariani 2000b)

 

 

Questo potrebbe essere dunque un possibile modo di utilizzare il concetto di “Biografia di apprendimento”. A questa biografia potrebbe essere collegato, come dicevo prima, un dossier – una raccolta di documenti e materiali che siano in qualche modo le “pezze giustificative”, le “testimonianze”, le “prove documentarie” di ciò che ho scoperto e che ho riportato nella mia biografia. Se, ad esempio, ho scoperto qualcosa circa i miei modi di imparare rispondendo ad un questionario, allegherò questo questionario; se al termine di un’unità o di un modulo, mi sono reso conto delle mie aree di difficoltà compilando una scheda di valutazione, allegherò questa scheda; se alla fine di un lavoro di gruppo ho prodotto un articolo che mi ha fatto scoprire quanto sono bravo a navigare in Internet, allegherò questo articolo. Anche in questo caso, però, mi sembra possa risultare utile un semplice strumento di descrizione e classificazione dei materiali che immetto nel mio dossier, ad esempio una scheda come questa (fig. 5), per la quale mi sono ispirato alla versione sperimentale svizzera del Portfolio Europeo (4).

 


 

 


Figura 5: Esempio di scheda introduttiva al “dossier” (da Mariani 2000b)

 

 

Per ogni documento inserito nel dossier, indico il titolo o la descrizione (ad esempio, “Recensione di un CD per la pagina web della scuola”), il tipo (per esempio, se si tratta di un lavoro individuale o di gruppo; se si tratta di un mio lavoro standard o di un esempio del lavoro migliore che so fare; se si tratta di una produzione libera e spontanea, oppure della versione finale di un lavoro che ho rivisto e corretto una o più volte; e così via); le ragioni per la scelta (ad esempio, “è piaciuta molto ai miei compagni e riguarda un mio grande interesse – la musica”); e infine la data di inserimento.

 

 

L’approccio pedagogico dietro l’idea di un portfolio

 

Al di là delle forme specifiche che può assumere un portfolio, è l’idea stessa di “portfolio” che va esaminata con cura, perché ha delle implicazioni molto forti per un approccio innovativo all’apprendimento e all’insegnamento.

 

La proposta di usare un portfolio, nella forma semplice in cui l’ho presentato o in altre forme che sono tutte da inventare, può essere percepita, in un certo senso, come dirompente e traumatica. Sono il primo a farmi delle obiezioni come, ad esempio, “Dove si trovano il tempo, gli spazi, le energie per inserire un progetto come quello del portfolio nella progettazione a medio e lungo termine?” Non c’è una risposta semplice e consolatoria a domande simili. Però avanzo l’ipotesi che obiezioni come queste trovino la loro origine, oltre che in considerazioni di realismo, anche in una resistenza che noi tutti avvertiamo, più o meno consciamente, quando siamo messi di fronte a cambiamenti forti, a scelte forti. La mia opinione è che oggi, nel tumulto che sta rivoluzionando la nostra scuola, ci sono tante ombre ma anche tante luci – ci sono limitazioni che ci frenano e ci ostacolano, ma ci sono anche nuove opportunità impensabili in passato. La scuola dell’autonomia può, io credo, aiutarci a trovare le soluzioni istituzionali, cioè, in altre parole, i tempi, gli spazi, le energie e le risorse per occuparci di più e meglio dei processi – a patto, però, che noi siamo consapevoli e convinti fino in fondo che valga la pena di agire in questa direzione. Il portfolio è solo un esempio tra i tanti di un approccio alternativo all’apprendimento e alla valutazione. Per questo vorrei terminare questo contributo rendendo molto esplicite le implicazioni di fondo di questo approccio:

 

                cioè riflettendo sulle esperienze fatte e cercando di dare loro un senso, di ri-costruirne il significato. (Si noti che per fare questo occorre che i compiti svolti producano effettivamente nuova esperienza, siano cioè abbastanza problematici da richiedere l’uso di strategie: altrimenti non ci sarebbe nessuna nuova esperienza e dunque non ci sarebbe nulla su cui riflettere, e nulla di nuovo da scoprire);

 

L’”avvocato del diavolo” potrebbe chiedere: ma i nostri alunni sono in grado di affrontare un itinerario così impegnativo? E se non sapessero mai cosa scrivere nella loro biografia? E se non riuscissero ad andare al di là di qualche commento stentato? E se non fossero capaci di selezionare e valutare le proprie esperienze? Sarebbe fin troppo semplice rispondere che, finché non vengono date loro delle possibilità esplicite e sistematiche di provarci, non è nemmeno giusto “tarpare loro le ali” in partenza. E sarebbe altrettanto semplice ricordare che un progetto come quello di un portfolio richiede indubbiamente tempi medio-lunghi, gradualità e sostegno continuo. Ma preferisco invece concludere ricordando che la mia modesta proposta mette in primo piano ogni individuo per quello che ogni individuo effettivamente è: da quello o quella che, in risposta alle nostre sollecitazioni, si metterà a scrivere un’autobiografia, a quello o quella che farà fatica anche a mettere insieme due righe di riflessione. Come ha detto bene recentemente David Nunan (2000),

 

“a questo punto del nostro lavoro non siamo alla ricerca di medie, norme o generalizzazioni, e non siamo interessati a popolazioni statistiche e campioni. Al contrario, siamo felici di esaltare tramite il nostro lavoro il particolare, l’atipico, l’unico.”

 

 

Note

 

(1) Sul ruolo delle strategie nel contesto di un curricolo per il saper apprendere si veda Mariani 2000a.

(2) Il Quadro Europeo Comune di Riferimento cita convinzioni, atteggiamenti e motivazioni, insieme a valori, stili cognitivi e fattori di personalità come componenti della competenza esistenziale (savoir-etre), una delle “competenze generali” (Council of Europe 2001: 105).

(3) Si veda in appendice una proposta di repertori per la descrizione della metacompetenza.

(4) Reperibile sul sito http://www.unifr.ch/ids/Portfolio/

 

 

Bibliografia

 

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SWEET D. (1993), Student Portfolios: Classroom Uses. Office of Educational Research and Improvement (OERI), Washington, D.C.

 

 

Risorse su Internet

 

 

 

Appendice

 

Proposta di repertori di lavoro

 

In questi repertori si è tentata una ricognizione sistematica, anche se del tutto provvisoria, delle componenti di una metacompetenza.

 

Componenti della metacompetenza

(capacità di imparare)

 

Esempi di indicatori qualitativi

 (obiettivi di apprendimento)

 

A. Conoscenze dichiarative (convinzioni)

 

E’ consapevole del ruolo che svolgono nell’apprendimento le proprie convinzioni

 

  • sulla lingua e la comunicazione

 

E’ consapevole della natura e del funzionamento di  una lingua in quanto

-         sistema strutturato (lessicale, fonologico, morfosintattico)

-         strumento socio-pragmatico di comunicazione e mediazione

-         veicolo di culture

  • sulle culture dei popoli che utilizzano la lingua

E’ consapevole di somiglianze e differenze rispetto alla propria cultura-madre

 

E’ consapevole della possibilità di malintesi interculturali

  • sui processi e metodi di apprendimento linguistico

 

E’ consapevole della molteplicità degli approcci, strumenti, attività che facilitano l’apprendimento

 

E’ consapevole del ruolo svolto, in quanto discente, nel proprio apprendimento

 

E’ consapevole del ruolo svolto dall’insegnante

  • sulle proprie caratteristiche personali in quanto discente

 

E’ consapevole delle proprie attitudini, riguardo, ad es.

-         alla capacità di (de)codificazione fonetica

-         alla capacità di analisi linguistica

-         alla memoria

 

E’ consapevole delle proprie eventuali preferenze riguardo, ad es.

-         ai fattori fisico-ambientali

-         alle modalità sensoriali

-         agli stili cognitivi

 

E’ consapevole di quanto i propri tratti di personalità possano influenzare il proprio apprendimento

 

E’ consapevole delle conoscenze, competenze, capacità già acquisite

 

E’ consapevole delle cause dei propri successi/insuccessi (ad es. impegno, fortuna, capacità, contesto)

 

E’ consapevole degli interessi e/o esigenze personali che possono sostenere la motivazione

  • sulle caratteristiche dei compiti di apprendimento

E’ consapevole di

-         scopi

-         richieste

-         procedure

-         difficoltà

dei compiti

  • sulle proprie strategie di apprendimento

 

E’ consapevole delle strategie che ha utilizzato o che potrebbe utilizzare rispetto ai compiti

 

B. Competenza esistenziale (aspetto affettivo-motivazionale delle proprie conoscenze)

 

  • Atteggiamenti e motivazioni

 

E’ consapevole del ruolo che svolgono nell’apprendimento i propri atteggiamenti e le proprie motivazioni

-         verso la lingua, la comunicazione e il relativo apprendimento

E’ disponibile a ricercare significati e a non fermarsi alla forma superficiale degli enunciati

 

E’ disponibile a cercare modelli, schemi classificatori, relazioni governate da regole per sviluppare la lingua straniera come sistema di riferimento autonomo

 

E’ disponibile ad applicare i contenuti di quanto appreso a nuovi compiti e nuove situazioni, ad es. sperimentando nuove strategie, agendo “per tentativi ed errori”

 

E’ disponibile a rivedere il suo sistema in evoluzione mettendo alla prova ipotesi e imparando dagli errori

 

E’ disponibile a fare pratica e a utilizzare la lingua in reali contesti comunicativi

 

E’ disponibile a prendere l’iniziativa e a correre rischi calcolati e ragionevoli

 

E’ disponibile a tollerare l’ambiguità

 

Tollera di fare errori e accetta di farsi correggere dall’interlocutore

 

E’ disponibile a chiedere aiuto

 

E’ disponibile ad adattarsi a varie metodologie e materiali

 

E’ disponibile a collaborare con i compagni e l’insegnante

-         verso le culture straniere

 

 

Sviluppa empatia, ad es. valorizzando pensieri e sentimenti altrui

 

E’ tollerante nei confronti della diversità

 

E’ sensibile ai significati connotativi e socioculturali

-         verso se stesso in quanto discente

Ha fiducia nelle proprie capacità

 

E’ disponibile a svolgere un ruolo attivo nell’apprendimento

 

C. Strategie (abilità operative/procedurali, o capacità di usare le conoscenze)

 

 

  • Cognitive (di elaborazione delle informazioni)

(si forniscono alcuni esempi per ciascuna area)(1)

-         Associazione

 

Sa attivare conoscenze ed esperienze pregresse e collegarle alle nuove informazioni

-         Classificazione

Sa trovare ed applicare criteri di raggruppamento delle informazioni

-         Inferenza/deduzione

Sa fare e verificare previsioni sulla base delle informazioni disponibili

-         Induzione

Sa cercare regolarità e modelli, ipotizzando e verificando “regole”

-         Attenzione diretta e selettiva

Sa prestare attenzione ignorando le distrazioni

Sa focalizzare l’attenzione su aspetti specifici

-         Ristrutturazione

Sa riorganizzare (analizzare e sintetizzare) le informazioni stabilendo tra esse relazioni significative e integrandole nelle proprie conoscenze

-         Trasferimento

Sa utilizzare conoscenze pregresse (della L1 e della/delle L2)

 

-         Utilizzo di risorse esterne

Sa selezionare e utilizzare fonti di informazione

  • Metacognitive ( di auto-gestione)

 

(si forniscono alcuni esempi per ciascuna area)(1)

-         Pianificazione

Sa stabilire obiettivi a breve, medio, lungo termine

 

Sa programmare le condizioni di studio

 

Sa identificare le caratteristiche dei compiti da svolgere

-         Controllo

Sa identificare problemi nella comprensione e nella produzione

 

Sa monitorare il proprio discorso e quello degli altri, verificando come viene recepita la propria produzione

 

Sa “riparare” la comunicazione ristrutturando l’enunciato

 

Sa identificare strategie altrui per aggiungerle al proprio repertorio

-         Valutazione

Sa autovalutare progressi, risultati e strategie usate rispetto agli obiettivi

  • Socio-affettive

Sa ricorrere ai compagni e all’insegnante

 

Sa motivarsi, gratificarsi, promuovere la fiducia in sé, ridurre lo stress

  • Di azione comunicativa

 

-         Dedurre significati

Sa fare inferenze legittime sulla base di elementi già conosciuti

-         Ottenere aiuto

 

 

Sa segnalare che non ha capito

 

Sa chiedere all’interlocutore di

-         ripetere

-         spiegare

-         dare esempi

-         parlare più lentamente

 

Sa chiedere all’interlocutore di confermare se ha capito

 

Sa ripetere, riassumere o parafrasare ciò che ha capito per ottenere una conferma o un  feedback dall’interlocutore

 

Sa dire che non è in grado di esprimere qualcosa

 

Sa chiedere come si dice qualcosa

 

Sa chiedere all’interlocutore di confermare o correggere la propria produzione

-         Adattare il messaggio

Sa usare parole od espressioni “approssimate”

-         sinonimi e contrari

-         sovraordinati

-         “parole generali”

-         esempi

-         definizioni

-         descrizioni

-         parafrasi

 

Sa creare “parole nuove”

-         partendo dalla L1

-         nella L2 (ad es. costruendo un sostantivo a partire dal relativo verbo)

-         Usare strategie di conversazione

 

 

 

Sa aprire e chiudere la conversazione

 

Sa tenere aperta la conversazione, ad es.

-         mostrando interesse

-         incoraggiando l’interlocutore a parlare

-         parafrasando gli enunciati dell’interlocutore

-         facendo commenti o domande

-         usando esclamazioni e schemi intonativi appropriati

-         usando “parole di riempimento”, frasi fatte, tattiche per prendere tempo

 

Sa “prendere, tenere e lasciare il turno” nella conversazione, ad es.

-         attirando l’attenzione

-         interrompendo in modo adeguato l’interlocutore

introducendo un argomento diverso

-         Scusarsi

 

 

Sa scusarsi per non conoscere elementi dei codici di comportamento stranieri (anche facendo riferimento ai propri e chiedendo un consiglio)

-         Usare fattori paralinguistici

 

Sa esprimere significati usando l’accento, il ritmo, l’intonazione

-         Usare fattori extralinguistici

 

Sa esprimere significati usando i linguaggi non-verbali (ad es. gesti, espressioni del viso, disegni)

 

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