"DIMMI COME 'NAVIGHI' E TI DIRÒ CHI SEI":

MULTIMEDIALITÀ, STILI DI APPRENDIMENTO,

VECCHIE E NUOVE STRATEGIE

Lingua e Nuova Didattica, Anno XXIX, No. 1, Febbraio 2000

 

Nuove tecnologie e differenze individuali: quale impatto ha l'interazione con le macchine sugli stili cognitivi e sulle strategie di apprendimento?

Luciano Mariani

 

Un'insegnante chiese ad un suo studente dodicenne perché secondo lui fosse utile usare il computer per ricostruire dei testi. Il ragazzo rispose: "Perché il computer non mi interrompe mentre sto pensando, come invece fa lei".

(citato in Hewer 1997)

 

Introduzione

Veramente un computer può essere più sensibile, attento ed efficiente di un insegnante? Veramente dobbiamo imparare da un computer come si fa ad insegnare? Io credo che, nel turbinio delle esperienze e delle proposte tecnologiche, sia arrivato il momento di fermare la nostra attenzione per considerare in modo sereno e pacato il nostro rapporto con le nuove tecnologie. Si tratta di una problematica talmente vasta e complessa, e, soprattutto, in una tale continua evoluzione, che mi è sembrato opportuno isolare solo pochi punti, che userò come esempi di problematiche più generali, e che offro soprattutto come spunti di riflessione e di discussione.

Innanzitutto, vorrei citare brevemente come sfondo a tutto il mio discorso due idee che mi sembra dobbiamo accettare con serenità:

·l'idea che i vantaggi delle nuove tecnologie sono innegabili;

·l'idea che l'uso delle nuove tecnologie è inevitabile.

Detto questo, vorrei sostenere che è giunto il momento di porsi qualche domanda più specifica, che orienti le nostre scelte ma soprattutto i nostri atteggiamenti in questo campo. Come esempi di domande specifiche, proporrò due temi fondamentali:

·primo tema: qual è l'impatto degli stili di apprendimento sull'uso delle nuove tecnologie? In altre parole, in quali modi diversi le persone usano lo stesso computer, lo stesso programma? E che luce gettano questi diversi modi di usare le tecnologie sulle differenze individuali? Insomma, esploreremo il senso del nuovo proverbio, "Dimmi come 'navighi' e ti dirò chi sei"

·secondo tema: quali strategie di apprendimento possono aiutare noi e i nostri studenti ad interagire con profitto con le tecnologie? Sono le stesse strategie che abbiamo sempre cercato di promuovere, o sono strategie nuove, o forse un misto di vecchio e di nuovo?

 

Due idee come sfondo

Cominciamo allora con le due idee che fanno da sfondo a tutto il mio discorso. La prima è: i vantaggi delle nuove tecnologie sono relativamente innegabili. E' ovvio che "relativamente" è la parola-chiave. Non è questa la sede per fare un panegirico dell'uso del computer, ma mi limito a fare un brevissimo riassunto dei vantaggi, più spesso citati, che sono più rilevanti per il mio discorso. Si afferma dunque che l'uso della multimedialità

·aumenta la motivazione, come si vede dall'intensità e dalla durata del contatto dello studente con la macchina;

·facilita l'apprendimento attivo ed esperienziale, per i contesti concreti e le opportunità di ristrutturazione della conoscenza che introduce;

·attua un approccio centrato sul discente, grazie all'interattività e dunque alla possibilità di scelta;

·promuove l'individualizzazione, in particolare il rispetto degli stili e dei ritmi personali di apprendimento, attraverso la varietà e la flessibilità delle proposte;

·e, in definitiva, realizza un apprendimento più efficiente e produttivo (1) (2).

Ma vorrei introdurre anche un'altra idea, ancora più intrigante anche se più raramente espressa, e cioè che l'uso delle nuove tecnologie, a prescindere dai loro vantaggi, è inevitabile. Dobbiamo e dovremo sempre più usare le nuove tecnologie nell'educazione anche solo per il fatto che noi stessi, e i nostri figli e i nostri nipoti, tutti noi vivremo e lavoreremo sempre più in un mondo basato sui computer. Ho letto recentemente, ma purtroppo non ricordo più la fonte, che l'ottanta per cento dei bambini che cominciano ora la scuola elementare, quando saranno adulti, cioè grosso modo tra quindici-venti anni, faranno lavori basati su tecnologie che oggi non esistono ancora. Dunque le nuove tecnologie connotano e connoteranno sempre più il nostro ambiente di lavoro e di vita prima ancora che di apprendimento a scuola.

E allora, in un certo senso, le polemiche e i dubbi sull'uso delle tecnologie finiscono per essere quasi sterili. Le stesse sigle che circolano tra gli addetti ai lavori sull'uso del computer nell'apprendimento delle lingue (ad esempio, Computer Assisted Language Learning, Apprentissage Assisté par Ordinateur, apprendimento assistito dal computer, e così via) rischiano di diventare presto obsolete. Chi parla o ha mai parlato di apprendimento assistito dal libro, o assistito dalla penna, o assistito dalla biblioteca? Quando non si parlerà più di apprendimento assistito dal computer, vorrà dire che il computer sarà diventato quello che da tanto tempo sono il libro, la penna, la biblioteca - cioè tecnologie invisibili, invisibili nel senso di strettamente integrate ai processi di imparare e di insegnare (Warschauer 1997).

Parliamo dunque di tecnologie inevitabili, e dai vantaggi relativamente innegabili. E spiego quel "relativamente". Ho l'impressione che questi benefici siano spesso dati per scontati e considerati in modo generico; credo pertanto che sia giunto il momento di riconsiderarli in modo più specifico e meno indifferenziato. Invece di chiederci soltanto: le nuove tecnologie migliorano l'apprendimento? E' preferibile usarle al posto di altri strumenti? penso che sia urgente porsi anche altre domande, come ad esempio: Quali tipi di tecnologie potenziano l'apprendimento di quali tipi di studenti, rispetto a quali tipi di compiti e contesti, e con quali tipi di insegnanti? Insomma, la questione sembra non essere più se si debbano usare le tecnologie, ma come farlo; non se possono essere positive ma come possono esserlo (Oxford et al. 1997).

 

Nuove tecnologie e stili individuali di apprendimento

 Introduco a questo punto il mio primo tema: "Dimmi come navighi e ti dirò chi sei". Come si manifestano i diversi stili di apprendimento nell'interazione con il computer? Ad un'occhiata superficiale, una serie di persone che stanno studiando davanti a un computer sembrano comportarsi allo stesso modo - quasi che l'impersonalità della macchina si estenda anche all'utente. Ma è proprio così?

Per rispondere a questa domanda, come spesso capita nella nostra professione di insegnanti, non possiamo che metterci ad osservare e ad ascoltare, cioè a raccogliere informazioni su ciò che le persone fanno e su ciò che dicono prima, durante e dopo lo svolgimento di un compito. E possiamo anche partire da noi stessi, da un'auto-osservazione e un auto-ascolto.

Osserviamo ad esempio uno studente alle prese con un programma di pratica linguistica che gli offre, tra i vari supporti di aiuto, la possibilità di vedere altri esempi della frase o del testo in questione oppure la possibilità di consultare direttamente una sintesi grammaticale. Il risultato dell'utilizzo dell'uno o dell'altro supporto può portare ad un'esecuzione positiva o negativa del compito, ma a noi in questo caso interessa la scelta che compie lo studente, indicativa di preferenze diverse rispetto ai modi di elaborare le informazioni. Chi sceglie di osservare altri esempi, o comunque di continuare a lavorare entro il contesto fornito dalla frase o dal testo, sembrerebbe infatti optare per un approccio di tipo più "induttivo" (raccolgo dati e verifico le mie ipotesi, cioè inferisco, al livello di esplicitazione che ritengo per necessario e sufficiente, la regola). Chi invece sceglie una sintesi grammaticale "pronta" sembrerebbe optare per un approccio di tipo più "deduttivo" (costruisco il sistema esaminando la regola esplicita ed applicandola poi ai casi concreti)(3).

Vorrei tuttavia fornire un esempio molto più strutturato di come le caratteristiche personali vengano messe in luce proprio nell'interazione con le nuove tecnologie. Per fare ciò, ho bisogno di fare riferimento ad una delle tante possibili descrizioni degli stili cognitivi, intendendo per "stili cognitivi" le preferenze individuali nei modi di elaborare le informazioni. In questo caso ho scelto un modello proposto da Gregorc (1982), perché si basa su variabili molto utili in una discussione sulle tecnologie.

Il modello di Gregorc è illustrato nella Figura 1.

sequenziale

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astratto --------------------------- concreto

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|
 
casuale

Fig. 1 - Un modello di stili cognitivi (Gregorc 1982)

 

L'incrocio tra i due binomi opposti (sequenziale-casuale e astratto-concreto) produce quattro possibili alternative, quattro "stili" di elaborazione delle informazioni, e dunque un'esemplificazione di diversi modi di imparare. Mentre "astratto" e "concreto" sono due termini abbastanza chiari di per sé, credo valga la pena di fare un esempio di cosa si intende per elaborazione sequenziale piuttosto che casuale.

Qualche tempo fa, mentre preparavo questo contributo, avevo bisogno di trovare un'immagine che illustrasse il concetto di "sovraccarico cognitivo" (la situazione in cui "si va in tilt", la testa non sembra più in grado di reggere il peso dei pensieri). Avevo a disposizione una raccolta di immagini elettroniche, e, dato che io sono un tipo tendenzialmente sequenziale, cioè sistematico e lineare, ho cominciato col chiedermi: che strumenti posso utilizzare per trovare l'immagine che mi interessa? Il programma che avevo offre un elenco per categorie, così ho sfogliato questo elenco ma non ho trovato niente che facesse al caso mio. Il programma comprende però anche una specie di motore di ricerca, così mi sono chiesto: che parole-chiave posso immettere? Cognitivo era una parola ovviamente troppo astratta, così ho provato con sovraccarico, poi con carico, poi con peso, poi con testa … senza ottenere risultati. A questo punto, esaurite le mie strategie "sequenziali", ho provato a mettere in atto una strategia più casuale, più globale e intuitiva: ho fatto scorrere rapidamente sullo schermo del computer una lunga serie di fumetti e ho cercato di vedere se qualcuna di queste immagini "mi ispirava", cioè mi dava l'idea di quello che cercavo. Dopo un po', i miei occhi si sono fermati sulla figura 2.

 

 

 

 

 

Fig. 2 - Il "sovraccarico cognitivo"

 

 

 

Mi sembrava che potesse funzionare come immagine del "sovraccarico cognitivo", e così l'ho copiata e stampata. Avevo usato una strategia casuale, non sequenziale: si noti che "casuale" non significa "caotico" o "disorganizzato" o "lasciato al puro caso" - significa piuttosto organizzato in modo non lineare, non in sequenza rigida e predeterminata. Più avanti avrò modo di chiarire ancora questo concetto.

Consideriamo dunque la situazione in cui dobbiamo imparare un nuovo programma informatico. Supponiamo di avere a disposizione diversi supporti di apprendimento:

·abbiamo il manuale dell'utente, che è un volume fisico, non virtuale;

·poi abbiamo una guida in linea incorporata nel programma, che fornisce informazioni su aspetti e problemi specifici: per esempio tramite un sommario (cioè una specie di indice generale), oppure tramite un indice analitico, o infine tramite un "assistente" virtuale al quale possiamo rivolgere domande specifiche;

·abbiamo quindi una serie di esercitazioni programmate, inglobate nello stesso programma, in cui veniamo guidati passo dopo passo a capire come funziona il programma, tramite spiegazioni, esempi e simulazioni;

·supponiamo inoltre di avere a disposizione una persona già esperta, che ci può dare una dimostrazione concreta di come funziona il programma.

Infine, abbiamo anche la possibilità di fare subito pratica da soli con il programma.

Come si comporterebbe ognuno di noi in questa situazione? Proverò ora a descrivere come quattro persone potrebbero affrontare questo compito. Chiameremo queste persone Simona, Matteo, Barbara e Giorgio. Il lettore è invitato a decidere con quale (o con quali) di queste persone si potrebbe meglio identificare.

·Matteo comincia con le esercitazioni programmate, usa anche la guida in linea ogni volta che lo ritiene necessario, e solo dopo passa alla pratica indipendente. E' evidente che Matteo è da una parte una persona concreta, che ha bisogno di mettersi subito a confrontarsi con i problemi; ma d'altro canto è anche una persona che ha bisogno di una struttura chiara entro cui muoversi, una sequenza ordinata in cui l'informazione viene costruita passo dopo passo. Il manuale gli sembra troppo teorico ed astratto, la dimostrazione da parte della persona esperta, pur essendo concreta, non gli fornisce il necessario ordine logico e cronologico. La pratica indipendente non lo attira subito proprio perché troppo casuale e asistematica. Matteo tende insomma ad essere una persona concreta-sequenziale.

·Simona, al contrario, si butta subito a provare da sola; non le interessano né il manuale, né la dimostrazione, né le esercitazioni  programmate. Ha bisogno di costruirsi da sé la struttura mentale dell'informazione, non sente la necessità di usare esperienze e conoscenze masticate o pre-digerite da altri, anzi le evita se appena può. Procede dunque in modo casuale, anche se questo non significa caotico: si costruisce da sola il proprio percorso, anche se, essendo una persona concreta e orientata all'azione, usa la guida in linea ogni volta che non riesce a districarsi da un problema. Simona tende dunque ad essere concreta ma casuale.

·Giorgio preferisce affidarsi, all'inizio, ad una dimostrazione da parte di una terza persona, e poi passare alla pratica personale. In questo modo Giorgio comincia con l'osservare altri, comincia col costruirsi un'idea, non immediatamente personale e concreta, ma piuttosto basata sull'osservazione di un procedimento tipico, che altri hanno già provato prima di lui. Solo dopo essersi fatta un'idea di questo tipo Giorgio passa alla pratica. Non lo attirano le esercitazioni programmate perché, essendo molto strutturate, le sente rigide, mentre consulta il manuale quando necessario. Giorgio tende insomma ad essere una persona astratta-casuale.

·Barbara, infine, sembra preferire un approccio molto ordinato e sistematico. Non disdegna il manuale, anche come punto di partenza, perché ha bisogno di una struttura chiara e organizzata, che passo dopo passo le permetta di costruirsi gradualmente un'idea precisa del programma. Anche le esercitazioni programmate, ovviamente, la attirano, proprio per lo stesso motivo, mentre accetta con una certa fatica la dimostrazione da parte di un altro. Quando si sente in grado di controllare la struttura, Barbara passa alla pratica personale. Usa la guida in linea, ma non dimentica mai il manuale, dove sa di poter trovare, non solo le risposte che le servono in un certo momento, ma anche il contesto generale entro cui quelle risposte vanno inserite. Le interessa non solo il "come" ma anche il "perché". Barbara tende dunque ad essere astratta e sequenziale (4).

Con questo esempio ho voluto dimostrare che l'uso delle nuove tecnologie non è neutro o indifferenziato, ma va riferito alle caratteristiche individuali delle persone. In altre parole, non ci basta liquidare il discorso sui vantaggi delle nuove tecnologie dicendo semplicemente che con la varietà, la flessibilità e l'interattività che offrono possono soddisfare tanti stili di apprendimento diversi. Questo è solo un lato della questione, anche se non è certamente poco! Ma fermarsi qui significherebbe solo riconoscere che le tecnologie adattano i compiti agli studenti, permettono a ciascuno di sfruttare i propri punti di forza. Notate che in questo caso sottolineiamo ancora una volta la flessibilità delle tecnologie, non dello studente.

A noi interessa invece anche l'altro aspetto della questione, e cioè come aumentare la flessibilità dello studente nei confronti dei compiti. Allora la domanda diventa: come le tecnologie possono aiutare gli studenti ad adattarsi ai compiti, e quindi ad affrontare i loro punti di debolezza? Quali strategie è necessario che gli studenti sviluppino per migliorare la loro flessibilità, cioè la loro capacità di far fronte a compiti sempre più complessi e multiformi, attraverso la mediazione delle tecnologie?

 

Vecchie e nuove strategie

Stiamo così arrivando al mio secondo tema, e cioè al tema delle strategie, strategie vecchie e strategie nuove davanti al computer. Vorrei partire da una situazione e da un compito tipico: la navigazione negli ipertesti - ipertesti nell'accezione più ampia del termine, quindi dalla pagina con pochi collegamenti fino ad arrivare all'iper-iper-iper-testo, la rete di Internet. La metafora della "navigazione" in un ipertesto è ormai abusata, ma lo è perché riflette molto bene le caratteristiche di questa situazione: per esempio, il bisogno di sapersi orientare, di saper leggere le "mappe" dei siti, il bisogno di sapersi tenere a galla, pena il pericolo di affogare. "Sink or swim", dicono gli inglesi: affonda o nuota.

Siamo tutti consapevoli del pericolo di perdersi in un ipertesto, di non sapere più dove si è, da dove si è venuti. e dove si sta andando. Da un lato, possiamo dire che la complessità di un ipertesto riflette la complessità della realtà e della conoscenza della realtà - in effetti un ipertesto è un piccolo o grande mondo. Possiamo anche dire che forse questo modo di rappresentare la conoscenza si avvicina molto allo stesso modo in cui la conoscenza si struttura nella nostra mente - non per segmenti lineari indipendenti, messi in sequenza, ma piuttosto per nodi e per collegamenti che si evolvono in continuazione ristrutturando l'intero sistema delle nostre conoscenze.

D'altra parte, però, il discorso che abbiamo appena fatto sugli stili di apprendimento ci ricorda che gli individui sono diversi anche nel modo di affrontare e condurre questa navigazione. Dire cioè che la navigazione in un ipertesto riflette tout court il modo naturale di imparare della nostra mente è a mio parere limitativo, perché, di nuovo, noi siamo diversi nella misura in cui amiamo, tolleriamo o aborriamo la struttura e il flusso libero, la sequenzialità e la simultaneità, il concreto e l'astratto, l'analisi e la globalità, la sistematicità e l'intuizione, la riflessione e l'impulsività, la possibilità di prendere decisioni o di farci guidare (5).

Prendiamo ancora una volta in esame le diverse reazioni di due persone alla navigazione in un ipertesto e vediamo di quali strategie ciascuno di loro potrebbe aver bisogno.

Ricordate Simona, la persona molto concreta che si butta subito a provare e che ha bisogno di costruirsi da sola una sua struttura mentale, non in modo sequenziale e sistematico, ma piuttosto in modo casuale e intuitivo? Potremmo dire che Simona troverà pane per i suoi denti navigando in un ipertesto: le scelte e le alternative continue e simultanee la stimolano, e possono permetterle di costruirsi il suo personale percorso. Ma quello di cui Simona potrà avere bisogno saranno delle strategie che le permettano di controllare comunque il flusso dei collegamenti, delle strategie che la aiutino a tenere sotto controllo l'abbondanza, anzi, la sovrabbondanza delle informazioni, che la aiutino a selezionare i percorsi e a trasformare tanti brandelli di informazioni in una conoscenza che sia realmente utilizzabile.

E ricordate invece Barbara, che ha bisogno subito di una struttura chiara, ordinata, lineare e sequenziale in cui inserirsi, passo dopo passo? Barbara potrebbe essere frastornata dalla molteplicità e dalla simultaneità delle proposte e delle alternative di un ipertesto. La sua tendenza ad essere sistematica e riflessiva potrebbe portarla magari a trasformare ogni collegamento in un'occasione di approfondimento, perdendo di vista la globalità dell'intero processo, e quindi il fatto che ogni collegamento non è fine a se stesso, ma contribuisce all'esplorazione dell'area complessiva. Da un lato, dunque, Barbara potrebbe aver bisogno di essere incoraggiata a fare più scelte, a deviare da un percorso esclusivamente lineare; ma dall'altro, potrebbe aver bisogno di supporti che le permettano comunque di sentirsi sicura, realizzando man mano quella struttura di cui lei, al contrario di Simona, sente la necessità.

Simona e Barbara sono esempi concreti di due modi alternativi di "navigare", di due stili di apprendimento diversi e di due diverse strategie: da una parte, un modo di navigare "strutturato, lineare e sequenziale", in cui la ricerca delle informazioni viene condotta secondo criteri rigorosi: prima definisco gli scopi e l'oggetto della mia ricerca, poi formulo delle domande opportune, quindi stabilisco dei criteri di esplorazione, e così via. Dall'altra parte, un modo di navigare diciamo meno strutturato, più casuale e intuitivo, in cui mi lascio guidare dai collegamenti che man mano si presentano e magari arrivo a scoprire, anche per caso, idee e relazioni nuove, a cui non avevo nemmeno pensato. Sono due modi diversi, quasi alternativi, di procedere, e io credo che siano entrambi utili, e vadano usati in parallelo, con il solo obbligo di sapere sempre, in ogni momento, dove si è, come ci si è arrivati e cosa si sta facendo (6).

 Ma l'uso delle nuove tecnologie ci obbliga anche a riconsiderare globalmente il discorso sulle strategie, in due sensi fondamentali. In primo luogo, nel senso del rapporto tra strategie cognitive, cioè di elaborazione delle informazioni, e strategie metacognitive, cioè di pianificazione, controllo e valutazione dei propri processi e dei propri prodotti. In secondo luogo, nel senso del significato stesso delle metacognizione, nelle due accezioni fondamentali di questa parola: la conoscenza dei propri processi di apprendimento, e il risvolto più operativo, cioè il controllo consapevole e critico delle proprie operazioni mentali, che comprendono anche i propri processi di interazione con le tecnologie.

Se prendiamo ancora una volta in esame la navigazione, scopriamo subito che essa implica una stretta integrazione tra strategie cognitive di ricerca di informazioni, per esempio strategie di lettura globale e selettiva (i classici "skimming" e "scanning"), e strategie metacognitive, di giudizio e interpretazione critica delle informazioni stesse. La classica distinzione, a cui ho appena accennato, che si fa spesso all'interno delle strategie metacognitive, tra pianificazione, controllo e valutazione, sembra quasi offuscarsi. Pianificazione e controllo, ad esempio, tendono a fondersi, sia durante la ricerca "off-line", asincrona, non in linea (ad esempio, consultando un ipertesto su un CD-Rom), sia, e ancora di più, durante la ricerca "on-line", sincrona, in linea, cioè quando si è connessi in rete. Anche solo decidere cosa leggere o cosa guardare o cosa ascoltare richiede molte strategie abbastanza sofisticate. Se vado in biblioteca e prendo un libro, la mia scelta è già condizionata dal fatto che il libro è presente fisicamente in biblioteca, il che in un certo senso è una garanzia. Ma trovare una risorsa, particolarmente in rete, comporta già di per sé, contemporaneamente, strategie di ricerca e strategie di valutazione in tempo reale (e anzi con una certa urgenza perché i collegamenti costano). Devo infatti saper valutare sia se la fonte è valida, attendibile e accurata, sia se la risorsa è interessante e adeguata per i miei scopi particolari. In tempo reale devo decidere, per esempio, se continuare a fruire della risorsa, se tornare indietro, se andare avanti, attraverso un nuovo collegamento, verso un nuovo nodo di risorse, o magari se smettere di navigare e tornare in biblioteca. Questo significa che, accanto alle strategie chiamiamole tradizionali, di decodificazione e di comprensione dei testi, occorre sviluppare strategie simultanee di esplorazione e di interpretazione critica delle risorse (Pool 1997, Warschauer 1998, Warschauer e Healey 1998).

C'è poi un'ulteriore complicazione: i generi di testi disponibili in rete, come sappiamo, non sono assimilabili in modo meccanico alle tipologie testuali a cui siamo abituati, anche solo per la multi- o iper-medialità che li caratterizza, e quindi per le relazioni che si instaurano tra il verbale e il non-verbale. Insomma, per navigare tra i testi della rete occorre sviluppare anche la conoscenza di nuove convenzioni retoriche, cioè di nuovi tipi di organizzazione testuale (Warschauer 1998, Warschauer and Healey 1998).

 

La questione del controllo

Dunque l'interazione con le nuove tecnologie comporta la necessità di affinare e sviluppare delle strategie di controllo e di monitoraggio ricche e articolate. Ma controllare e monitorare, lo sappiamo bene, costa energie, costa fatica: se devo usare molte energie mentali per tenere sotto controllo quello che faccio, avrò meno energie per elaborare i contenuti di quello che sto studiando. In altre parole, corro il rischio di arrivare presto e spesso ad un "sovraccarico cognitivo" (Brickell 1993; Gordon 1996). Questo sovraccarico cognitivo è ulteriormente aumentato, paradossalmente, proprio dalle maggiori libertà e possibilità di scelta e di navigazione offerta dagli ipertesti, rispetto ai libri tradizionali.

Se il contenuto da imparare è semplice, la capacità della memoria a breve termine può essere sufficiente; ma più complesso è il contenuto e più ricche sono le forme in cui viene presentato (cioè più articolate sono le rappresentazioni mentali dello stesso concetto che vengono stimolate), più si corre il rischio di non avere abbastanza spazio nella memoria a breve termine per poter elaborare le informazioni e trasmetterle nella memoria a medio o lungo termine (Wilkinson et al. 1996).

Abbiamo perciò bisogno di sistemi e di programmi che assicurino la più alta trasparenza e accessibilità dell'informazione, e un'assistenza continua, flessibile e articolata durante l'elaborazione delle informazioni.

Ma c'è un aspetto anche più intrigante, anzi, per me inquietante, di questa problematica: la capacità, cioè, delle nuove tecnologie di porsi come interlocutore metacognitivo rispetto all'utente. Una delle sfide degli sviluppatori di programmi è infatti quella di spingere sempre più avanti i limiti dei cosiddetti "sistemi intelligenti", fino al punto di anticipare o sostituire almeno in parte il lavoro metacognitivo dell'utente. E infatti le nuove tecnologie sembrano evolversi nel senso di proporre la gestione, sia pure magari parziale e interattiva, delle operazioni metacognitive dell'utente. Non a caso si parla di "cibernetica metacognitiva" - lo studio di come la macchina possa assistere l'utente nel suo processo decisionale e gestionale.

Vorrei fare un paio di esempi. Al momento sappiamo che, nel campo dell'apprendimento linguistico, il feedback che i programmi forniscono allo studente è di tipo prevalentemente lessicale o grammaticale - in altre parole, i programmi sono per il momento in grado di darmi alcune informazioni di ritorno sull'accuratezza di ciò che dico o scrivo, ma pochissimo sull'appropriatezza. Proprio per questo uno degli sforzi più avanzati della ricerca consiste nel rendere i programmi sensibili alla competenza non solo linguistica, ma anche pragmatica e sociolinguistica espressa dallo studente - si cerca cioè di renderli capaci di contestualizzare e interpretare in modo flessibile le parole dello studente. Si cerca cioè di dotare questi sistemi di strategie sociolinguistiche (Oxford et al. 1997).

Si stanno dunque prefigurando sistemi che siano in grado di diagnosticare le preferenze individuali per adattare i programmi agli individui. Questi sistemi potrebbero decidere essi stessi quale opzione scegliere tra una gamma di alternative disponibili: per esempio, potrebbero decidere di ripetere delle informazioni o di parafrasare, di presentare le informazioni  più lentamente, di correggere direttamente lo studente o di dirigerlo verso spiegazioni e materiali di riferimento in background. Insomma,  in generale la tendenza sembrerebbe essere quella di creare sistemi abbastanza intelligenti da capire il modello di studente che si viene delineando durante l'interazione con il computer. Man mano che il sistema incamera informazioni sul tipo di stili ed esigenze che lo studente esprime, il sistema stesso si adatta in modo flessibile proponendo strategie alternative diverse (7).

Si potrà facilmente obiettare che si tratta di scenari futuribili: quando mai una macchina riuscirà a capire o addirittura a produrre il nostro linguaggio, il linguaggio naturale? Probabilmente sono scenari futuribili (anche se ormai siamo abituati ad aspettarci l'incredibile nel giro di pochi anni o di pochi mesi); tuttavia, a noi credo che interessino soprattutto i dilemmi pedagogici che ci creano questi scenari - e non sono dilemmi di poco conto. Proviamo per esempio a porci queste due domande:

·prima domanda: è il sistema o è lo studente che deve sviluppare strategie? Fino a che punto è il sistema che deve prendere decisioni, oltre a tutto in background, cioè in modo invisibile, non consapevole da parte dell'utente?

·seconda domanda: se il computer si fa carico di assistere l'utente nella pianificazione, controllo e valutazione delle sue stesse operazioni, che cosa comporta questo? Che, paradossalmente, quando interagisco con un computer non devo più pensare perché tutti i miei problemi vengono risolti prima ancora che arrivino alla mia consapevolezza? Saremmo all'opposto del ragazzino che dice: "Mi piace il  computer perché non mi interrompe mentre sto pensando"! E saremmo invece al punto in cui, come è stato detto, l'uso del computer diventa "un modo molto attivo di essere passivi"! (Davies et al. 1995)

In realtà, io penso che ciò che possiamo e dobbiamo pretendere dalle nuove tecnologie oggi, alle soglie del nuovo millennio, è che siano abbastanza intelligenti da fornire all'utente soprattutto una guida e un feedback appropriato: per esempio, fornendo non solo informazioni isolate, ma strumenti per strutturare e imporre la propria organizzazione alle informazioni; non solo una risposta tipo "giusto, bravo" o "sbagliato, riprova", ma anche un'indicazione del perché la risposta è giusta o sbagliata; non solo una valutazione sommativa della prestazione dello studente, ma anche una valutazione che sia in qualche modo formativa, cioè accompagnata dalla proposta (attenzione, proposta, non obbligo) di ulteriori esercitazioni, di recupero, rinforzo o sviluppo. Insomma, potremmo dire con una formula, una libertà guidata, in cui il computer offre suggerimenti e alternative, ma è lo studente che fa le sue scelte e che riflette sulle conseguenze delle sue scelte:

"L'opinione generale è che i discenti, specialmente se adulti, si sentono meglio quando hanno una sensazione di controllo sul programma. I programmi più "dittatoriali" sono quelli che non lasciano uscire il discente quando lui o lei è pronto a farlo. I [programmi] più flessibili danno al discente la scelta di cosa fare, quando farlo, e per quanto tempo. Una libertà guidata sarebbe una caratteristica dei [programmi] CALL (8) intelligenti, in cui il programma darebbe suggerimenti, ma il discente farebbe le scelte" (Warschauer 1998) (9) (10).

 

Conclusione: Strategie per una comunicazione reale o virtuale?

Vorrei avviarmi alla conclusione con un'ultima considerazione su come sta cambiando l'uso delle strategie. Per noi insegnanti di lingua, si pone un problema molto intrigante: l'intermediazione della macchina cambia la qualità della comunicazione e delle relative strategie comunicative? Non mi sto riferendo qui alla comunicazione tra gruppi di studenti o tra studenti e insegnanti davanti ad un computer, ma piuttosto alla comunicazione che si realizza in rete, sia attraverso la posta elettronica e altri sistemi di scambio di messaggi, sia tramite la partecipazione, per esempio, a gruppi di discussione con scambi immediati di domande e risposte, ma comunque scritte (non sto pensando quindi alle audio o videoconferenze).

Queste nuove forme di conversazione e discussione stanno rapidamente trasformando i contesti entro cui si attivano le strategie di comunicazione. Consideriamo questi semplici fatti:

·l'abilità della scrittura sta vivendo una nuova stagione. Ma si tratta di generi testuali molto diversi dal passato - pensiamo ai messaggi di posta elettronica o ai messaggi lasciati sulle "bacheche" dei gruppi di discussione;

·il fatto di avere tempo per scrivere i propri interventi lascia aperta la possibilità di elaborare la lingua in modi più complessi dal punto di vista sintattico e più articolati dal punto di vista lessicale. Questo potrebbe fornire opportunità di aumentare anche la correttezza oltre che la scioltezza;

·questa maggiore elaborazione significa che è possibile modificare e correggere i propri interventi più e meglio di quanto non si possa fare in una conversazione o discussione faccia a faccia. Insomma, sembrerebbe che questi tipi di comunicazione in rete possano aumentare le possibilità di "notare" le differenze, cioè di cogliere i divari tra ciò che si vorrebbe dire e ciò che si è realmente in grado di dire;

·per molti studenti, questo tipo di comunicazione è più rassicurante della comunicazione faccia a faccia, e può quindi indurli a correre più rischi, a "lanciarsi" di più, a produrre di più, e quindi ad avere più opportunità di verificare ipotesi sulla lingua che stanno imparando;

·infine, la negoziazione e la partecipazione che si verificano durante questi tipi di comunicazione sono più bilanciati rispetto all'interazione faccia a faccia: tutti possono parlare, o meglio scrivere, contemporaneamente e al proprio ritmo, senza necessità di lottare per avere il proprio turno di parola. In questo modo tende ad attenuarsi la posizione dominante che possono assumere l'insegnante o anche certi studenti più estroversi (Pellettieri 1996, Warschauer 1996).

Proprio quest'ultima osservazione mi induce a proporre un elemento finale di riflessione: questa comunicazione in rete attiva proprio le stesse strategie della comunicazione orale faccia a faccia? O piuttosto si tratta di tipi di comunicazione comunque diversi, che implicano strategie qualitativamente diverse? Certo, se non devo lottare per prendere e mantenere il mio turno di parola, potrò elaborare con più calma i miei interventi, ma non svilupperò le tattiche che mi permettono, momento per momento, di negoziare continuamente la mia partecipazione. E se non dovrò negoziare in tempo reale con interlocutori fisicamente presenti davanti a me, avrò, di nuovo, più tempo per elaborare ciò che voglio dire, ma non avrò a disposizione tutti i segnali paralinguistici ed extralinguistici, come gesti, espressioni, intonazioni, che rendono la conversazione così complicata ma anche così ricca. Insomma, starò facendo un'esperienza di dialogo interattivo o piuttosto di una serie di monologhi asociali? (Moran 1990)

In definitiva, io credo che dobbiamo confrontarci con differenti strategie di comunicazione che rispondono a contesti altrettanto differenti: è, se vogliamo, ancora una volta la contrapposizione tra il reale e il virtuale, o meglio, tra diversi livelli di realtà e di virtualità. Non so se e quanto la comunicazione in rete sia assimilabile alla comunicazione faccia a faccia. Dobbiamo naturalmente lavorare perché il virtuale non rimanga l'unica, la sola possibilità - in altre parole, dobbiamo lavorare perché la comunicazione tramite le nuove tecnologie non si esaurisca in sé, ma arricchisca e migliori tutte le altre forme di comunicazione; perché la comunicazione tramite le nuove tecnologie continui a produrre esperienze di incontro e di interazione concrete ed attive.

Altrimenti, potremmo finire come nel caso descritto da questo limerick (11):

 

Word has come down from the dean

That by aid of the computing machine

Young Oedipus Rex

Could have learned about sex

Without ever touching the Queen.

 

Lo traduco in modo un po' libero e approssimativo:

 

Si è saputo da una fonte genuina

Che con l'aiuto di una macchina carina

Il giovane re Edipo stesso

Avrebbe potuto istruirsi sul sesso

Senza mai toccare la regina.

Non vorremmo certo che questa fosse la nostra fine …

 

Riferimenti bibliografici

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Australian Journal of Educational Technology: http://cleo.murdoch.edu.au/ajet/ajet.html

CALL Electronic Journals on-line: http://www.lerc.ritsumei.ac.jp/callej/index.html

CALL Journals and Newletters: http://www.hull.ac.uk/cti/resources/reading/journals.htm

Revue Francophone ALSIC: http://alsic.univ-fcomte.fr/

 

Note

(1) Per rassegne dettagliate sui vantaggi e i benefici dell'uso delle nuove tecnologie si vedano ad esempio Relan 1992, Ayersman 1996, Owston 1997, Kosakowski 1998, Warschauer 1998; su uso delle tecnologie e teorie dell'apprendimento, Pellone 1991; per una visione "critica" dei benefici delle tecnologie, Davies e Crowther 1995. Torna al testo

(2) Nella letteratura sull'argomento ho notato che quando si tratta di elencare i benefici delle nuove tecnologie, sembra quasi, per una volta, più facile parlare in termini di processi (cioè di motivazioni, convinzioni, atteggiamenti) che non di prodotti in termini di conoscenze e competenze acquisite. Sui vari tipi di ricerca, centrati, ad esempio, sugli atteggiamenti piuttosto che sulle prestazioni, si veda Ayersman 1996. Torna al testo

(3) Raschio (1990), nel riportare una ricerca condotta in questi termini, collega la dipendenza dal campo con il primo approccio e l'indipendenza dal campo con il secondo approccio, pur evidenziando la stessa facilità con cui entrambi i tipi di studenti sembravano utilizzare il programma. Torna al testo

4) Gli esempi a cui mi sono ispirato compaiono in Leaver 1997. Torna al testo

(5) Sugli "stili di pensiero" e sul loro uso nella "navigazione" in Internet si veda in modo specifico Lumb 1994. Torna al testo

(6) Sull'uso complementare di questi diversi approcci si veda Moro 1997. Torna al testo

(7) Per una discussione di questi sviluppi si veda Pellone 1991; sui "sistemi tutoriali intelligenti" si veda Ayersman 1996. Torna al testo

(8) Computer-Assisted Language Learning. Torna al testo

(9) Traduzione dell'autore di questo contributo. Torna al testo

(10) Su questa problematica si vedano anche Williams 1993, Gordon 1996, Davies 1997. Torna al testo

(11) Citato in Patrikis 1997. Torna al testo

 

 

 

 

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