GESTIRE LE DIFFERENZE INDIVIDUALI:

VERSO UNA PLURALITA' DI INTERVENTI

 

Lingua e Nuova Didattica, Anno XXXII, No. 2, Aprile 2003

Luciano Mariani

 

 

La gestione delle differenze individuali implica un'interazione costante tra stili di apprendimento, strategie e "compiti", nel quadro di un clima di classe centrato sulla mediazione e la condivisione.

 

 

Premessa

 

E' parte dell'esperienza quotidiana di ogni insegnante, o di chiunque sia impegnato in un lavoro di formazione con gruppi di persone, percepire la sensazione della difficoltà di gestire l'eterogeneità, ossia la presenza di differenze individuali all'interno di una classe o di un gruppo. "Io sono una/uno, e loro sono trenta" è un'affermazione ricorrente alla fine (o anche all'inizio) di incontri di discussione, lavori di gruppo, seminari di aggiornamento tra insegnanti. Dietro questa constatazione, banale quanto significativa, si percepiscono spesso la preoccupazione, il disagio, l'insoddisfazione derivanti da uno dei dilemmi forse più acuti che può vivere un insegnante, pari forse soltanto a quello, altrettanto "sofferto", relativo alla valutazione degli alunni. Il dilemma si riassume facilmente nel desiderio, da parte degli insegnanti più sensibili, di "individualizzare" quanto più l'insegnamento (o, in termini più attuali, l"offerta formativa"), contrapposto alla difficoltà di far fronte, con le esigue risorse personali e istituzionali disponibili, ad un impegno così gravoso. Il risultato di affrontare "di petto" un dilemma simile si traduce spesso in un senso di impotenza, che genera frustrazione e pessimismo sulla possibilità di intervento (si vedano le parallele osservazioni di Graziella Pozzo sul tema della valutazione, in Pozzo 2001).

 

Un dilemma nasce sempre da una visione rigidamente biunivoca della realtà, una visione in cui tutto è bianco oppure nero, in cui non esistono sfumature intermedie, e che porta pertanto ad una filosofia di azione del tipo "tutto e subito, oppure niente mai più". La convinzione sottesa a molte affermazioni sulla gestione della variabilità individuale (comprese molte "indicazioni didattiche" di stampo più o meno ufficiale) è che l"individualizzazione" di obiettivi, contenuti, metodologie, strumenti, criteri di valutazione, o qualunque combinazione di questi e altri fattori, sia l'unica strada percorribile. Se questa "individualizzazione" deve implicare automaticamente e inevitabilmente la stesura di un "curricolo personale" o di un "piano personalizzato" per ogni singolo alunno, è comprensibile la diffidenza e lo scetticismo con cui vengono accolte molte proposte in merito.

 

Ma porsi un problema non significa necessariamente risolverlo subito e una volta per tutte. Accanto ad un'abilità di problem solving, e di fronte alla complessità di molte situazioni, è forse necessario sviluppare oggi abilità di problem posing, cioè di analisi e comprensione del problema, finalizzate in primo luogo alla gestione flessibile del problema nel quotidiano, cioè nelle situazioni di classe continuamente mutevoli. Questo significa adottare una visione almeno in parte alternativa a quella del "dilemma secco", esplorando invece tutta la zona intermedia tra il "tutto" e il "nulla", e (ri)ponendosi alcune domande-chiave, come, ad esempio:

 

·         in quali sensi le persone sono diverse quando imparano?

·         come queste diversità condizionano i processi di apprendimento e di insegnamento?

·         che cosa implica riconoscere e valorizzare le diversità?

·         è opportuno "individualizzare"? In che senso? Entro dei limiti?

·         quale gamma di opportunità di intervento è possibile ipotizzare per gestire nel quotidiano la variabilità delle persone?

 

Il presente contributo intende fornire alcuni elementi di riflessione e di discussione su queste domande-chiave. (Per una trattazione più sistematica ed esauriente, si veda il recente volume della Collana LEND, Mariani-Pozzo 2002.)

 

 

Differenze in classe: chi è diverso rispetto a chi?

 

Differenze individuali, individualizzazione, piani personalizzati ... le parole chiave di questa tematica sembrano essere centrate tutte sulla dimensione personale e privata del singolo studente alle prese, quasi tra e , con i suoi compiti di apprendimento. Ma l'apprendimento di cui vogliamo occuparci in questa sede si realizza in classe, cioè in una dimensione sociale e culturalmene condizionata, in cui la particolarità del singolo si incontra o si scontra con le particolarità di molti altri individui, e, per di più, entro una cornice di lavoro che, persino nella lezione frontale più unidirezionale, non può non assumere le connotazioni di "impresa di gruppo", con le dinamiche relazionali e i "climi" che tutto questo comporta.

 

Dunque quando si parla di differenze individuali ci si deve riferire a individui che, dovendo necessariamente interagire tra loro, sviluppano dinamiche di confronto, di contrapposizione, o, in una prospettiva più positiva, di mediazione e negoziazione. Gli individui in classe non sono solo gli studenti, ovviamente, ma anche gli insegnanti: entrambi sono impegnati nella gestione di un compito di apprendimento (intendendo qui per "compito" qualunque attività finalizzata ad un apprendimento, dal più semplice esercizio di pratica di forme verbali al progetto complesso). Gli sforzi "strategici" dell'insegnante, con i quali cerca di facilitare l'esecuzione del compito, si intersecano con gli sforzi "strategici" dello studente, e dalla qualità ed efficacia di questa reciproca interazione dipende in definitiva la buona riuscita del lavoro (Fig. 1); senza dimenticare che il contesto della classe è parte di un contesto più ampio, di scuola e società, con cui intrattiene rapporti reciproci continui, come è simbolizzato dalle frecce esterne nella figura.

 

 

 

 

Figura 1: Il "compito" tra insegnamento e apprendimento

 

Se adottiamo questa ottica "di sistema", non è possibile considerare le differenze individuali esclusivamente come "problema privato" di chi impara: si dimenticherebbe che anche chi insegna è portatore di differenze individuali. Ad esempio, gli stili di apprendimento, su cui ci soffermeremo tra breve, sono uno dei fattori di variabilità individuale, e come tale sono riferibili sia allo studente che all'insegnante. Anzi, il proprio personale stile di apprendimento è spesso uno dei condizionamenti più vistosi del proprio stile di insegnamento: la scelta e la gestione dei compiti viene quasi sempre effettuata dall'insegnante, che non può non riflettervi le proprie personali preferenze. Ha senso dunque trattare della gestione degli stili di apprendimento solo in un contesto complessivo, di "clima di classe", in cui la dinamica tra gli stili è altrettanto importante dei singoli profili individuali. Parafrasando il titolo della celebre saga Star Wars si è così potuto parlare di "style wars", di "guerre di stili", per indicare come nell'incontro/scontro tra stili diversi si possa identificare una delle possibile cause, e non tra le secondarie, dei fallimenti e degli insuccessi scolastici.

 

 

Differenze in classe: rispetto a che cosa?

 

La diversità può essere declinata secondo molti parametri: si è diversi per età, sesso, provenienza etnica e socio-culturale, personalità, attitudini, "intelligenze", stili di apprendimento, motivazioni, convinzioni e atteggiamenti ... ma in questo contributo ci limiteremo a considerare una delle variabili più importanti per i contesti di apprendimento/insegnamento, e cioè gli stili di apprendimento, senza dimenticare che ogni "astrazione" di un parametro dalla realtà complessiva della persona è un'operazione artificiosa, provvisoria e arbitraria, che deve perciò essere bilanciata continuamente dalla consapevolezza che la persona che apprende è sempre, e in primo luogo, persona nella sua globalità cognitiva, socio-affettiva e culturale.

 

Una definizione data da Keefe (1979) può costituire un utile punto di partenza, soprattutto perchè contiene chiari riferimenti alle caratteristiche basilari, ma anche problematiche, di questo concetto:

 

Gli stili di apprendimento sono caratteristici comportamenti cognitivi, affettivi e fisiologici che funzionano come indicatori relativamente stabili di come i discenti percepiscono l'ambiente di apprendimento, interagiscono con esso e vi reagiscono.

 

Sono qui delineate alcune idee-chiave, su cui torneremo a diverse riprese:

 

·         la dimensione comportamentale: lo stile di apprendimento non è solo un costrutto teorico, ma, in quanto si manifesta in concreti comportamenti, funziona come indicatore, cioè come un segnale, di caratteristiche più "nascoste" della persona;

·         la globalità del concetto: nonostante l'enfasi talvolta posta sugli aspetti cognitivi dell'apprendimento, uno stile è un tipico modo di manifestare la propria individualità anche fisica e socio-affettiva;

·         la relativa stabilità: trattandosi del riflesso della propria personalità negli atti di apprendimento, lo stile è stabile tanto quanto la personalità che esprime: soggetto dunque a cambiamenti ed evoluzioni, e particolarmente in età evolutiva, ma con una base, anche genetica e fisiologica, che è parte costitutiva dell'individualità della persona;

·         la funzione di "filtro": lo stile, insieme a fattori quali convinzioni, atteggiamenti e motivazioni, dai quali è difficilmente separabile, agisce come "filtro" rispetto a come viene percepito l'ambiente di apprendimento: i "compiti" a cui abbiamo accennato, ad esempio, una volta scelti dall'insegnante, vengono reinterpretati, quanto a scopi, richieste, procedure, da ciascuno studente in modo diverso a seconda degli "occhiali interpretativi" costituiti, tra l'altro, dal suo stile;

·         l'interazione e la reazione con l'ambiente: lo stile condiziona anche il modo in cui la persona si rapporta all'ambiente di apprendimento, che comprende tutti i fattori del relativo contesto (dall'insegnante ai compagni, dai libri di testo alle procedure didattiche, dagli strumenti utilizzati alle modalità di valutazione ...): una riconferma di quanto abbiamo già osservato, e cioè che le differenze individuali non possono essere considerate se non all'interno di un quadro socio-culturale nei confronti del quale le persone sviluppano reazioni, più o meno efficaci e produttive, di adattamento ed evoluzione continui. In altre parole, gli "stili" sono socialmente, culturalmente e istituzionalmente connotati.

 

 

Aree di stili

 

Come è illustrato nella Figura 2, gli stili di apprendimento possono essere identificati e discussi prendendo di volta in volta in considerazione aree di fattori diversi (Per una panoramica esauriente ed aggiornata, si vedano, ad esempio, Reid 1995 e Leaver 1997.).

 

 

 

 

Figura 2: Aree di stili di apprendimento

 

Le preferenze ambientali si riferiscono sia al "dove" e al "quando" si studia meglio (ad esempio, all'aperto/al chiuso; a scuola/a casa; in salotto/in cucina; di sera/di mattina; con pause più o meno.frequenti ..), sia a fattori fisici quali la luce, la temperatura, i suoni presenti nell'ambiente (ad esempio, la tolleranza o l'intolleranza o la necessità di musica o rumori di sottofondo ...); ai consumi personali (cibi e bevande prima, durante, dopo lo studio ...); alla postura e alla mobilità; e, più in generale, ai bioritmi personali (i ritmi ciclici, positivi e negativi, che scandiscono la nostra efficienza fisica, emotiva, intellettuale ...).

                                                                                         

Le modalità sensoriali si riferiscono alle preferenze individuali nell'utilizzo dei sensi. Tradizionalmente, si prendono in considerazione soprattutto le modalità visiva, uditiva e cinestetica, intendendo con quest'ultimo termine non soltanto la preferenza per o la necessità di movimento fisico, ma anche, più in generale, la predilezione per attività concrete, per l'esperienza diretta, per il coinvolgimento costante nell'azione. E 'interessante notare, specialmente in questi tempi di "bombardamenti multimediali", che una preferenza visiva può articolarsi in un orientamento visivo-verbale (la preferenza per la lingua scritta) e un orientamento visivo-non verbale (la preferenza per i linguaggi non-verbali: grafico-iconici, gestuali...); così come una preferenza uditiva potrebbe comportare una correlazione, oltre che con la parola parlata, anche con la valenza di disturbo, ma anche di supporto alla comunicazione, della musica, dei suoni, dei rumori.

 

Complementari alle modalità sensoriali, che si riferiscono principalmente, anche se non esclusivamente, ai meccanismi di percezione delle informazioni in ingresso, sono gli stili cognitivi, che riguardano più direttamentre i modi tipici di ogni individuo di sottoporre ad elaborazione quelle informazioni (ad esempio, acquisendole in memoria tramite procedure di associazione e classificazione; elaborandole; recuperandole dalla memoria). Gli stili cognitivi sono stati studiati con una molteplicità di approcci ed elaborando un'altrettanto vasta gamma di possibili descrittori, ognuno dei quali focalizza aspetti particolari dei meccanismi di attivazione delle funzioni cognitive (per molti versi ancora sconosciuti).

 

I modelli di stili cognitivi più noti fanno generalmente riferimento a scale bipolari (Fig. 3), ossia ad un continuum tra estremi opposti ideali, su cui ogni persona concretamente si situa.

 

 


 


 

Figura 3: Esempi di scale bipolari di stili cognitivi e di tratti socio-affettivi

 

I descrittori, ossia i termini utilizzati per identificare gli stili, sono dunque da considerare in termini relativi, ossia come indicatori di tendenze, non di valori assoluti. La stessa considerazione vale per i tratti socio-affettivi: lo scopo nell'utilizzo di descrittori non è certamente quello di trovare i modi più sbrigativi di "incasellare" una persona, cristallizzandola come "tipo" astratto (un'operazione evidentemente inutile, oltre che pericolosa), ma piuttosto quello di disporre di una gamma articolata di possibilità di definire un profilo personale. Più che "etichettare" una persona come "introverso" o "estroverso", ad esempio, sarà utile, una volta evidenziata un'eventuale tendenza in un senso o nell'altro, arricchire questa (auto)osservazione specificando in che senso agisce questa tendenza: in quali contesti appare, rispetto a quali "compiti" di apprendimento, con quali condizionamenti sull'esecuzione dei compiti stessi, e così via - senza dimenticare la natura sempre provvisoria di queste osservazioni, particolarmente significativa quando si tratta di persone in età evolutiva. I profili personali, dunque, sono dinamici, nel senso che vanno continuamente aggiornati per tener conto dell'evoluzione nel tempo delle preferenze individuali (Figg. 4 e 5) (Per esempi di strumenti di rilevazione di tratti distintivi degli stili di apprendimento e di insegnamento, si veda il sito dell'Autore di questo contributo: www.learningpaths.org).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Figura 4: La relatività dei descrittori     Figura 5: La dinamicità dei profili

 

Invitiamo ora il lettore a riflettere in modo più analitico sulle caratteristiche degli stili di

apprendimento. Per farlo, coerentemente con il tema di questo contributo (e come esempio, sia pure elementare, di "differenziazione"), gli offriamo una possibilità di scelta. Nella Figura 6 compaiono 11 esempi di persone "classificate" come tipi ideali. Il compito che proponiamo è di abbinare ciascuna di queste figure ad uno degli elenchi di caratteristiche proposti nella Tabella 1. Tuttavia, se il lettore, in base alle sue preferenze personali (ed anche al contesto spazio-temporale in cui sta leggendo questo contributo!) preferisce leggere subito gli abbinamenti, li troverà nell'Appendice 1.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Figura 6: Esempi di "stili" (da Mariani 2000)

 

 

Tabella 1

 

A quale delle 11 persone raffigurate nella Figura 6 potrebbe riferirsi ciascuno di questi "profili"?

 

Nome

"Profilo"

1.

·         preferisce il movimento fisico, le sensazioni tattili, le emozioni

·         ricorda meglio ciò che ha sperimentato di persona

·         struttura le informazioni in modo globale e intuitivo, con scarsi dettagli

·         può preferire testi di tipo narrativo, ma con trame avvincenti, ricche di azione e di eventi

·         è sensibile e attento, ma ha la necessità di un coinvolgimento continuo

·         ha bisogno di situazioni concrete e di richiami alla propria esperienza

2.

·         parte dalle "parti" per ricostruire il "tutto"

·         preferisce il ragionamento logico basato su elementi particolari

·         elabora informazioni in maniera lineare, sequenziale e cumulativa

3.

·         preferisce le relazioni interpersonali, i lavori di gruppo, le interazioni numerose e variate, la collaborazione e la negoziazione

·         preferisce le esperienze concrete e i contatti con il mondo esterno

·         ama le circostanze personali e più connotate affettivamente, orientate alle persone forse più che al compito

·         interagisce meglio con materiali concreti, pratici, informali, magari di tipo sociale o artistico

4.

·         preferisce fornire risposte più immediate

·         uno stimolo di alta intensità può attivare la sua elaborazione

·         può preferire input più complessi e simultanei, da gestire tendenzialmente "in tempo reale"

·         può essere più disponibile al rischio, meno ansioso, più tollerante dell'ambiguità

5.

·         privilegia la parola orale, ama le discussioni (e magari anche le digressioni!)

·         ama la musica e i suoni

·         ricorda meglio ciò che ha udito

·         tende ad avere bisogno di una strutturazione sequenziale, passo dopo passo, delle informazioni (in armonia con il flusso della parola parlata)

·         può preferire testi di tipo narrativo, focalizzati sulla dimensione "tempo"

·         ha meno problemi nella conversazione e nella fonetica

6.

·         tende a prendere decisioni in base ai fatti

·         dà giudizi di tipo più oggettivo

·         è un "pianificatore", orientato  a prevedere e organizzare le situazioni in anticipo

·         rimane antro il "compito" assegnato

7.

·         preferisce situazioni indipendenti, un lavoro individuale, una cerchia ristretta di interazioni e relazioni sociali

·         si focalizza sul contenuto del compito da svolgere (idee, concetti, relazioni)

·         ama le circostanze neutre, impersonali, orientate al compito da svolgere

·         è orientato al ragionamento basato su cause e conseguenze logiche

·         interagisce meglio con materiali astratti, teorici, impersonali, formali

8.

·         tende a decidere in base alle sensazioni

·         dà giudizi di tipo più soggettivo

·         è un "correttore", orientato a reagire agli eventi via via che si producono

·         può andare oltre il "compito" assegnato

9.

·         preferisce la parola scritta o le immagini, le illustrazioni e i particolari come forme e colori

·         ricorda meglio ciò che ha visto

·         tende ad avere bisogno di una visione complessiva di un argomento

·         elabora immagini mentali

·         può preferire testi di tipo descrittivo, focalizzati sulla dimensione "spazio"

·         ha meno problemi con l'ortografia, la lettura, la scrittura

10.

·         accede dapprima all'insieme per poi considerare eventualmente gli elementi costitutivi del tutto

·         preferisce un'elaborazione più contestualizzata

·         procede per movimenti di tipo più casuale e simultaneo

11.

·         considera molte possibili opzioni

·         richiede tempi di elaborazione più lunghi

·         uno stimolo di bassa intensità può attivare prontamente la sua elaborazione

·         ha avversione per input eccessivi, o comunque troppo ricchi e variati

·         può essere più cauto, più ansioso, meno tollerante dell'ambiguità, meno disponibile al rischio

 

 

Adattare i compiti ai discenti: una didattica variegata

 

Nell'ottica che abbiamo illustrato all'inizio di questo contributo, l'inevitabile eterogeneità di un gruppo in situazione di apprendimento istituzionale (e che, ricordiamolo, comprende dunque a tutti gli effetti anche l'insegnante) comporta in primo luogo la necessità di un adattamento e di una mediazione: in fondo, la situazione di classe esemplifica il più generale principio secondo cui l'individuo si evolve in un incessante rapporto con l'ambiente in cui vive.

 

Da una parte, perciò, un punto di partenza inequivocabile consiste nel riconoscere e assecondare le differenze individuali, andando incontro alle diverse esigenze dei membri del gruppo-classe. Per la prassi didattica quotidiana, questo comporta una didattica il più possibile variegata, cioè un'alternanza di stimoli visivi, uditivi, cinestetici; di approcci analitici-riflessivi-sistematici e globali-impulsivi-intuitivi; di attività individuali, di coppia, di gruppo e a classe intera. Questa alternanza potrà così assicurare che a ciascuno sia garantito un parziale adattamento al proprio personale stile di apprendimento: nell'ambito di un "segmento" di apprendimento, sia esso di tipo temporale (una lezione, una settimana ...) o di tipo strutturale (un'unità, un modulo ...), ogni studente potrà così sfruttare i suoi punti di forza proprio perchè l'insegnante adatta i compiti ai discenti.

 

E' interessante a questo proposito fare due osservazioni.

 

La prima osservazione è che questo adattamento può riguardare svariati settori di differenziazione: contenuti, obiettivi, supporti, dispositivi, aiuti e guide, metodi ... (secondo la casistica proposta dal progetto LEND - vedi Puren 2001). In particolare, riteniamo che sia opportuno distinguere tra una varietà di compiti e una varietà di approcci. La varietà dei compiti presuppone un'alternanza di attività (attività comunicative ricettive e produttive, scritte e orali; ma anche attività centrate sul sistema linguistico - grammatica, lessico, fonetica - e di riflessione sulle lingue e sulle culture) all'interno del segmento di apprendimento preso in esame; la varietà degli approcci presuppone che la stessa attività venga proposta con modalità variate. Ad esempio, il trattamento della grammatica può giovarsi di

 

·         approcci deduttivi (studio delle "regole" e loro applicazione in esercizi manipolativi: a vantaggio, ad esempio, di "stili" sistematici, convergenti) e approcci induttivi ("scoperta delle regole" attraverso l'osservazione sistematica, la formulazione e la verifica di ipotesi: a vantaggio di "stili" più intuitivi e divergenti);

·         focalizzazione sulle "forme" e sulla loro correttezza (a vantaggio di "stili" analitici e riflessivi) e focalizzazione anche sui significati e gli scopi comunicativi (a vantaggio di "stili" più globali e intuitivi);

·         lavori individuali (ad esempio, con la possibilità di controllare le chiavi degli esercizi in fondo al libro di testo o su schede: a vantaggio di "stili" indipendenti) e lavori a gruppi (ad esempio, con una correzione degli esercizi in coppia: a vantaggio di "stili" più dipendenti);

·         attività dagli esiti ben definiti (come esercitazioni "chiuse": a vantaggio di "stili" cauti e poco disponibili al rischio) e attività dai contorni volutamente più incerti (dal dialogo su traccia ai giochi di ruolo: a vantaggio di "stili" meno ansiosi, più tolleranti dell'ambiguità);

·         ... e, naturalmente, tutte le possibili combinazioni di queste opzioni.

 

La seconda osservazione è che l'adattamento dei compiti ai discenti può realizzarsi in maniera sequenziale (tutti gli studenti eseguono in sequenza gli stessi compiti, variati in modo tale che, "a turno", ciascuno trovi uno o più compiti che si adattano al suo "stile") o in maniera simultanea (la classe si divide in gruppi, che nello stesso arco temporale eseguono compiti diversi - "diversi" per uno o più dei fattori di differenziazione sopra citati). In questo secondo caso si parla più propriamente di "pedagogia differenziata".

 

 

Adattare i discenti ai compiti: una didattica strategica e metacognitiva

 

Adattare i compiti ai discenti non significa ovviamente concepire e realizzare un "curricolo" personale per ogni studente. Non siamo di fronte ad una individualizzazione assoluta, di cui si è già considerata la difficoltà o l'impraticabilità (anche se oggi le nuove tecnologie e l'apprendimento a distanza sembrerebbero rendere questa opzione meno irrealistica di un tempo), ma ad un primo livello di intervento, che va comunque nella direzione di gestire le differenze individuali nel quotidiano.

 

La domanda a questo punto è: fino a che punto può o deve giungere questo "accomodamento" al singolo studente? Un'offerta didattica variegata, mentre consente a tutti o a molti di sfruttare i propri punti di forza, non automaticamente permette anche di compensare e potenziare i punti di debolezza. I compiti di apprendimento (e i compiti che attendono gli studenti nella loro vita personale e professionale oltre la scuola) non possono sempre essere adattati al proprio "profilo" individuale, ma, al contrario, esigono spesso flessibilità e negoziazione. Le competenze di azione comunicativa e interculturale, che sono al centro dei curricoli linguistici così come delineati dal Quadro Comune Europeo di Riferimento (2002), ad esempio, implicano, come carattere distintivo e non secondario, una capacità di negoziare scopi e significati in contesti socio-culturali estremamente variabili, e dunque una grande flessibilità sia di ricezione che di produzione di messaggi. Una capacità di questo tipo richiede la messa in opera di comportamenti, verbali e non verbali, che rimandano a "stili" diversi a seconda delle esigenze dei contesti: uno stile riflessivo potrà dunque risultare utile per valutare con cognizione di causa i contenuti di una pagina web, ma uno stile impulsivo potrà risultare più adatto per gestire in tempo reale e con decisioni "all'istante" momenti di stallo o di incomprensione durante un'interazione tra interlocutori di culture diverse.

 

Dunque lo sforzo di flessibilità dell'insegnante, che cerca di adattare i compiti alle differenze individuali dei propri studenti, dovrà essere compensato da uno sforzo di flessibilità degli studenti, che dovranno imparare a adattare le proprie differenze individuali ai compiti che l'insegnante e il curricolo via via propongono. Per gli studenti, questo significa in pratica sopperire alle eventuali carenze del proprio profilo personale attrezzandosi con opportune strategie, che li aiutino ad affrontare quei compiti che più sono per loro rischiosi in quanto mettono allo scoperto i propri punti di debolezza. Anche la persona introversa, riflessiva, sistematica, ad esempio, deve poter sviluppare una competenza di azione comunicativa in tempo reale, ma per farlo avrà probabilmente bisogno di un'educazione strategica di supporto, che sarà forse meno utile o addirittura inutile ad una persona estroversa, impulsiva, intuitiva. D'altronde, quest'ultima potrà trovarsi in difficoltà a scrivere una sintesi organizzata e coerente di un testo argomentativo, e dunque, a sua volta, potrà giovarsi di adeguate strategie di supporto.

 

Adattare i discenti ai compiti cosituisce dunque un secondo livello di intervento nella gestione delle differenze individuali. Significa, per l'insegnante, contribuire al potenziamento strategico degli studenti tramite una didattica centrata sulle strategie di apprendimento che più risultano utili ai singoli profili individuali. Non tutti hanno bisogno delle stesse strategie, ma, d'altro canto, in ultima analisi è il singolo studente che deve scoprire, nel vivo dei compiti quotidiani, quali strategie possono meglio "attrezzarlo". Questo pone un limite e una sfida ad una didattica strategica: il limite è l'impossibilità (e l'inutilità, ma potremmo anche dire la pericolosità) da parte dell'insegnante di scegliere ciò che ritiene sia più opportuno per ciascuno studente; la sfida è fornire occasioni di incontro con strategie diversificate, perchè ciascuno studente possa crescere nella consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, e delle relative strategie di compensazione e supporto.

 

La sfida della didattica strategica è perciò una sfida metacognitiva. Uno degli obiettivi più ambiziosi, ma nello stesso tempo irrinunciabili, di un curricolo è di fornire gli spazi, i tempi e le risorse perchè ogni studente possa, da una parte, affinare sempre più la conoscenza del proprio profilo dinamico personale, e dall'altra parte, diventare consapevole di come i compiti di apprendimento (con i loro obiettivi, prerequisiti, richieste e procedure) si incontrano/scontrano con il proprio profilo, in modo da sviluppare quell'adattamento flessibile e strategico che oggi è forse l'unica chiave di interpretazione di (e sopravvivenza in) un mondo complesso e in continuo mutamento.

 

 

Esempi di due approcci metacognitivi

 

Le Tabelle 2 e 3 (da Mariani e O'Malley 2003) forniscono due esempi di didattica strategica e metacognitiva, basati su due approcci diversi anche se complementari (e applicati a due compiti tipici degli esami di certificazione esterna). Nel primo esempio (Tabella 2), le strategie vengono proposte direttamente dall'insegnante, tramite il supporto di questa scheda, e lo studente viene invitato a sperimentarle di persona e a valutarne l'efficacia al termine del compito: si tratta di un approccio basato sull'insegnamento diretto di strategie, che però mantiene la caratteristica fondamentale di fare riferimento al singolo studente per la valutazione e la personalizzazione delle strategie stesse. Nel secondo esempio (Tabella 3), invece, il punto di partenza è l'esperienza pregressa degli studenti, che vengono sollecitati, in via preliminare, ad esplicitare i modi in cui hanno sinora affrontato il compito, ma non vengono esplicitamente invitati ad utilizzare nessuna specifica strategia. Al termine del compito, l'insegnante invita gli studenti, tramite una breve discussione (che "rispecchia" quella preliminare) a considerare, verbalizzare e socializzare le difficoltà incontrate e le strategie effettivamente utilizzate. Questo secondo approccio è dunque basato sulla "scoperta" di strategie, anche se questa scoperta è sostenuta da un preciso itinerario di lavoro.

 

Tabella 2

 

(Il compito a cui fa riferimento questa scheda, che qui non viene riportato per ragioni di spazio, è un esercizio di comprensione di un testo scritto basato su domande a risposta multipla.)

 

Prima dell'esercizio: Considera attentamente queste strategie.

 

Strategia

Usata?

Utile?

·         Leggi tutto il testo una prima volta per fartene un'idea generale.

·         Leggi con attenzione ogni domanda e le relative risposte a-b-c-d.

·         Individua il paragrafo e la frase/le frasi del testo a cui si riferisce la domanda.

·         Anche se ti sembra di individuare subito la risposta corretta, considera con attenzione le altre tre alternative e cerca di capire perché sono sbagliate. Fai sempre riferimento al testo: lo puoi leggere e rileggere quante volte vuoi!

·         Segna a matita le risposte che ti sembrano corrette.

·         Metti un asterisco (*) accanto alle domande su cui hai più dubbi.

·         Rileggi le domande dall'inizio, prestando particolare attenzione a quelle con (*). Cancella e cambia le risposte se necessario.

 

 

 

Durante l'esercizio: Cerca di mettere in pratica le strategie.

 

Dopo l'esercizio:

·         Rileggi le strategie, segna con Ö quelle che hai effettivamente usato e dai un tuo giudizio sulle strategie usate: *** = molto utile; ** = abbastanza utile; * = inutile.

·         Confronta il tuo lavoro con i compagni.

 

 

Tabella 3

 

(Il compito a cui fa riferimento questa scheda, che qui non viene riportato per ragioni di spazio, è un esercizio di completamento di spazi vuoti in un testo scritto; per ogni spazio sono proposte quattro alternative di parole  tra cui scegliere.)

 

Prima dell'esercizio: trascrivi le strategie che senti citare nella discussione di gruppo:

 

 

Dopo l'esercizio:

·         Quali spazi vuoti hai trovato particolarmente difficili da riempire?

 

·         Come hai cercato di far fronte a queste difficoltà? Hai usato qualcuna tra le strategie di cui abbiamo parlato all'inizio?

 

·         Quali informazioni hai usato per scegliere le parole? Hai per esempio considerato

 

q  le categorie grammaticali a cui appartengono (es. sostantivo, verbo, aggettivo, preposizione)?

q  la loro posizione nella frase, rispetto alle parole che precedono e seguono?

q  le regole delle forme grammaticali (es. verbi seguiti o meno da to)

q  i tempi verbali implicati nelle frasi (es. vari tipi di passato)?

q  il significato dei vocaboli?

q  il contesto delle singole frasi e dell'intero paragrafo?

 

 

Puoi scrivere, nella colonna sulla destra, uno o due esempi di parole scelte in base alle informazioni che hai usato?

 

 

Conclusione

 

In questo contributo si è partiti dalla constatazione che le differenze individuali in un gruppo di apprendimento sono inevitabili, tanto quanto ne è inevitabile la presa in carico in un curricolo che voglia porre il discente al centro dell'apprendimento. Al di là dell'individualizzazione assoluta dei percorsi, ritenuta una strada difficilmente perseguibile, ci si è chiesti che cosa significhi tener conto delle diversità e di come queste possano essere gestite nel quotidiano di situazioni di classe. Nella gamma di opzioni possibili si sono messe a fuoco due "didattiche" complementari: una didattica variegata, centrata sull'adattare i compiti agli studenti, e una didattica strategica e metacognitiva, centrata sull'adattare gli studenti ai compiti. Quest'ultima implica non solo il potenziamento degli studenti tramite opportune strategie, ma anche la loro progressiva presa di coscienza del proprio profilo dinamico personale.

 

Questi diversi interventi didattici si giustificano anche nel quadro di un'educazione alla complessità che rifugge da semplificazioni e scorciatoie metodologiche - un'educazione il cui principio ispiratore è così ben sintetizzato da Morin (2001):

 

Si dovrebbero insegnare i principi di strategia che permettano di affrontare i rischi, l'inatteso e l'incerto, e di modificarne l'evoluzione grazie alle informazioni acquisite nel corso dell'azione. Bisogna apprendere a navigare in un oceano d'incertezze attraverso arcipelaghi di certezza.

 

 

Appendice 1

 

Gli abbinamenti proposti sono i seguenti: 1. cinestetico; 2. analitico; 3. estroverso; 4. impulsivo; 5. uditivo; 6. sistematico; 7. introverso; 8. intuitivo; 9. visivo; 10. globale; 11. riflessivo. Si noti tuttavia, che, particolarmente per gli stili cognitivi, alcuni descrittori dei profili possono sovrapporsi ed essere ragionevolmente applicati in molti casi a più di un profilo: a ulteriore conferma che le classificazioni possono aiutarci a comprendere una tematica complessa, ma non possono essere rigidamente utilizzate per descrivere la ricchezza di ogni stile di apprendimento individuale.

 

 

Bibliografia

 

AA.VV. 2002. Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione. Firenze: La Nuova Italia/Oxford University Press.

Keefe, J.W. 1979. Student learning styles. Reston, VA: National Association of Secondary School Principals.

Leaver, B.L.1997. Teaching the whole class. Thousand Oaks (CA): Corwin Press.

Mariani, L.2000. Portfolio. Strumenti per documentare e valutare cosa si impara e come si impara. Bologna: Zanichelli.

Mariani, L. e O'Malley, K. 2003. On Target. Course Book 2. Bologna: Zanichelli.

Mariani, L. e  Pozzo, G. 2002. Stili, strategie e strumenti nell'apprendimento linguistico. Imparare a imparare. Insegnare a imparare. Firenze: La Nuova Italia, Collana LEND.

Morin, E. 2001. I sette saperi necessari all'educazione del futuro. Milano: Raffello Cortina Editore.

Pozzo, G. 2001. "Il continuum della valutazione: la valutazione formativa e i suoi strumenti" in Gattullo, F. La valutazione degli apprendimenti linguistici. Firenze: La Nuova Italia, Collana LEND.

Puren, C. 2001. Formarsi alla pedagogia differenziata in didattica delle lingue. Programma di Cooperazione Europea n. 39686-CP-3-99-1-BE - Lingua A.

Reid, J.M.1995. Learning styles in the ESL/EFL classroom. Boston: Newbury House.

 

 

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