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LA COMPETENZA STRATEGICA
NELL’INTERAZIONE ORALE:
APPROCCI TEORICI E PRASSI DIDATTICHE
Lingua e Nuova Didattica, Anno XLIII, No. 3, Settembre 2014, pp. 10-21
Luciano Mariani
Introduzione
La competenza strategica è un’importante dimensione della competenza comunicativa interculturale, ma è anche una delle dimensioni meno indagate e, soprattutto, meno sviluppate negli insegnamenti linguistici. In questo contributo cercherò innanzitutto di situare questa competenza all’interno della più generale competenza comunicativa, chiarendone il ruolo e la rilevanza per il discente; darò esempi di tipi di problemi che questa competenza permette di gestire, se non sempre di risolvere; descriverò le strategie, che ne costituiscono la dimensione operativa, distinguendone vari tipi e sottolineando il ruolo che possono svolgere anche e soprattutto nell’ambito di un’educazione linguistica trasversale; e infine affronterò alcuni nodi problematici legati alle implicazioni pedagogiche e all’applicazione didattica di questo approccio strategico, fornendo in Appendice esempi di possibili materiali ed attività. La mia analisi si concentrerà sull’interazione orale perché si tratta dell’attività comunicativa in cui si possono osservare le implicazioni operative più interessanti e nel contempo meno conosciute della competenza strategica.
La competenza strategica come parte della
competenza comunicativa
L’immagine più immediata del posto che la competenza strategica occupa nell’ambito della più generale competenza comunicativa è forse quella fornita da Celce-Murcia che, rivisitando un suo precedente modello, ne riorganizza le varie componenti (Fig. 1, tratta da Celce-Murcia 2007: 45).
Accanto alle
più tradizionali competenze linguistica, socioculturale e discorsiva
(quest’ultima posta in posizione centrale), troviamo una competenza interazionale, che comprende
sia i modi di eseguire (sequenze di) atti di parola, incluse le varie mosse
usate nella conversazione, sia i mezzi paralinguistici/non verbali: si tratta
di una competenza strettamente legata a quella discorsiva, che il Quadro Comune
Europeo di Riferimento (QCER)(2002) associa sotto la più generale categoria di competenze pragmatiche. Nella Fig. 1
troviamo inoltre una nuova competenza formulaica, che comprende quei “pezzi di lingua” (chunks)
prefabbricati, come espressioni fisse, collocazioni e idiomi spesso usati nelle
interazioni quotidiane: elementi come Ma figurati!
Tutt’a un tratto … Nella misura in cui … Allora ci vediamo … Non so se mi
spiego …
Ai nostri
fini però il punto cruciale di questo modello è costituito dalla competenza strategica, quel cerchio che
lega assieme, saldandole in modo trasversale, tutte le altre competenze, che in
un certo senso supporta, ottimizza e rinforza. E’ interessante notare che il
QCER non contempla una competenza strategica a se stante, preferendo associare
man mano le attività comunicative alle relative strategie: troviamo infatti
titoli di paragrafi come “Attività e strategie di produzione”, “Attività e
strategie di ricezione”, e così via. Esempi di scale autonome riferite alle
strategie, inoltre, sono fornite soltanto per prendere la parola, cooperare e
chiedere chiarimenti.
Con l’ulteriore riqualificazione della competenza comunicativa come competenza interculturale (Byram 1997), anche la competenza strategica si è per forza di cose allargata ad accogliere fenomeni che hanno un impatto diretto sulla natura interculturale dell’agire comunicativo.
Il ruolo di questa così rinnovata competenza strategica interculturale è stato visto sin dall’inizio come duplice: poiché essa possiede come “braccio operativo” delle strategie usate da chi impara e usa una lingua, la competenza strategica è stata definita sin dall’inizio come
“la padronanza delle strategie comunicative che
possono essere attivate o per migliorare l’efficacia della comunicazione o per
compensare interruzioni nella comunicazione” (Swain
1984:189)[1]
“l’abilità di trasmettere con successo il proprio
messaggio … lo ricerca sulla competenza strategica è strettamente legata
all’uso di strategie comunicative che mettono in grado chi usa una lingua di
organizzare i suoi enunciati il più efficacemente possibile […] Tali strategie sono anche considerate
parte dell’abilità di riparare, o compensare, interruzioni nella comunicazione”
(Tarone e Yule 1989: 19)
In questa loro doppia funzione (risolvere problemi e migliorare l’efficacia comunicativa), le strategie comunicative, che hanno sempre avuto una funzione nei modelli di competenza comunicativa più accreditati (ad es. Canale e Swain 1980, Bachman 1990), hanno trovato posto anche nella formulazione del QCER:
“Le strategie comunicative non dovrebbero dunque essere considerate semplicemente secondo
un’ottica di incapacità – un modo per compensare un deficit linguistico o un
errore di comunicazione.” (QCER: 71; corsivo nell’originale)
Tipi di problemi gestibili attraverso
strategie
La trasversalità della competenza strategica rispetto a tutte le altre componenti della competenza comunicativa (così chiaramente simboleggiata dal cerchio nella Fig. 1) può essere dimostrata facendo riferimento ai tipi di problemi che può incontrare chi apprende o usa una lingua (non soltanto una L2, ma anche la stessa L1). In tutti gli esempi che seguono, A (parlante non-nativo) e B (parlante nativo) si conoscono da poco e non sono amici.
1. Livello lessicale:
A: Mio fratello ha un negozio di … vende tavoli, sedie … come si dice in italiano?
B: Un negozio di mobili?
A: Ecco, sì, mobili.
2. Livello grammaticale e nel contempo
sociolinguistico:
A: Apri la porta!
B: Ehi, non sono il tuo servo.
A: Scusa ... apri la porta … per piacere …
In questo caso, l’indisponibilità di forme verbali per esprimere la cortesia (come può, potrebbe …) o il mancato uso della forma di cortesia (apri invece di apra, scusa invece di scusi) possono dare origine ad un problema sociolinguistico.
3. Livello fonologico:
A: My uncle is going to /s---l/ his boat this
weekend.
B: Oh,
has he a sailboat?
A: Yes.
B: Oh,
are you going with him?
A: Uh –
no, he’s going to /s---l/ the boat.
B: Yeah, I understand. Are you going sailing with
him?
A: No, I’m sorry. /S---l/, not /s---l/. Someone
is going to buy his boat.
B: Oh, he’s selling the boat! I got it![2]
4. Livello pragmatico:
B1: Simon, non
puoi pagare anche per noi. Ecco, prendi la nostra parte. (gli offre dei soldi)
A: No, no! (gesticola con le mani in segno di rifiuto)
B2: No, davvero, Simon, non possiamo accettare.
A: Ma è un piacere …
B1: Ma siamo
noi che ti abbiamo invitato … dai, prendi … (tenta
di nuovo di dare i soldi a Simon)
A: No, non preoccuparti …
B2: Ma non è giusto.
A: Ma sì, ma sì ...
B1: Va bene, però allora la prossima volta facciamo il contrario.
A: No, no …
(Tutti sembrano piuttosto imbarazzati)[3]
In questo caso, è in gioco l’aspetto forse più problematico e complesso della competenza comunicativa, ossia la capacità di usare la lingua per raggiungere determinati scopi in modo efficace ed appropriato al contesto socioculturale e interculturale di riferimento: è evidente lo scontro tra quadri culturali non condivisi (nella cultura di A, ad esempio, potrebbe valere una regola diversa circa il pagamento di un pranzo rispetto alla cultura di B1 e B2).
La competenza strategica può dunque dimostrarsi utile in tutti i casi di errori o malintesi causati da qualche carenza in qualunque altra componente della competenza comunicativa interculturale. Le strategie attraverso cui si attua questa sua funzione sono, come vedremo, di diverso tipo, ma negli esempi sopra riportati vale la pena di sottolineare alcuni elementi comuni:
· anche se apparentemente la riparazione di alcuni errori sembra essere di competenza del singolo interlocutore, in realtà, nella maggioranza dei casi, ciò avviene nel corso di un’interazione, e ciò implica che spesso entrambi gli interlocutori partecipano di questa riparazione: nell’esempio 1, B (il parlante nativo) interviene suggerendo il termine non disponibile nel bagaglio lessicale di A (il parlante non-nativo); nell’esempio 2, è la reazione indispettita di B a sollecitare un tentativo di aggiustamento da parte di A; nell’esempio 3, B pone tre diverse domande ad A nel tentativo di capirlo, finché A, ricorrendo all’uso del termine contrario a quello frainteso (buy = comprare, invece di sell = vendere) riesce finalmente a trasmettere il suo messaggio; nell’esempio 4, lo scambio comunicativo, assistito da elementi verbali ma anche da diversi elementi non-verbali, è un tentativo mal riuscito di negoziare uno scopo che si vorrebbe condiviso. In altri termini, le strategie comunicative sono spesso usate in modo cooperativo, nel senso che gli interlocutori danno entrambi il loro contributo per gestire o risolvere assieme un problema;
· come si è già detto, le strategie comunicative si avvalgono di mezzi verbali e non-verbali;
· le strategie non sono eventi straordinari nell’interazione orale, ma sono parte degli sforzi “normali” di entrambe le parti di raggiungere il successo comunicativo;
· infine, gli esempi riportati ci confermano che non esiste la “comunicazione ideale” o il “parlante nativo perfetto”: si tratta di falsi miti, che occorre contrastare con una visione della comunicazione come costante sforzo, interattivo e flessibile, di continuo aggiustamento, di cui le strategie costituiscono uno strumento essenziale.
Tipi di strategie
Le strategie comunicative sono state classificate nel tempo in modi diversi, a seconda dell’indirizzo teorico scelto dai ricercatori: si sono così alternati e confrontati approcci di tipo psicolinguistico, che hanno messo a fuoco i prodotti linguistici generati dagli interlocutori (come l’uso di sinonimi e contrari come sostituti di un termine sconosciuto) e approcci di carattere più spiccatamente cognitivo, focalizzati sui processi mentali di cui le realizzazioni linguistiche costituiscono solo la parte osservabile e di superficie. A questi studi si sono associati in tempi più recenti approcci socio-culturali, in cui fondamentale è la considerazione dell’aspetto socialmente condizionato e cooperativo dell’interazione[4].
Una
distinzione ricorrente negli studi sulle strategie è quella che contrappone
strategie di riduzione/evitamento e
strategie di realizzazione. Nel primo
caso, di fronte ad un problema comunicativo la persona tende a rimanere
strettamente entro i limiti imposti dal suo attuale stato di conoscenza della
lingua (interlingua), abbandonando il
suo scopo comunicativo o
sostituendolo con un altro. Esempi di
queste strategie, molto comuni nella comunicazione quotidiana, sono l’evitare
un argomento ostico, il restare sul vago, il semplificare il messaggio (per
esempio, tralasciando i segnali di cortesia o sorvolando su atti di parola,
anche se importanti, come le formule di pre-chiusura
di una conversazione). Nel secondo caso
(strategie di realizzazione) si
mantiene lo scopo originario del
messaggio ma si cambia il piano con
cui portarlo a compimento: si possono allora prendere in prestito parole della
L1 o di altre lingue, o si possono usare parole della L1 facendole “suonare”
come parole della L2; oppure si cerca di usare la propria limitata interlingua,
cercando di sfruttare al massimo quello che si conosce: per esempio, usando
parole generali come cosa, roba, persona
…, usando esempi al posto della categoria (come abbiamo visto nel caso di sedie, tavoli … per dire mobili), ricorrendo ad espressioni
alternative per avvicinarsi al significato voluto (come è una cosa a forma di … del colore di … è fatta di …), e, con uno
sforzo ancora maggiore, usando parafrasi e approssimazioni: è come un… è una specie di … un medico lo
usa per … è una persona che …
Ai fini del nostro discorso, è certamente più utile stimolare le persone ad oltrepassare i limiti della propria “zona ottimale” facendo lo sforzo di utilizzare al massimo le proprie risorse, cioè puntare sullo sviluppo di strategie di realizzazione piuttosto che di evitamento (senza sminuire però il valore di queste ultime in situazioni particolari). Inoltre, come abbiamo già citato, questa realizzazione può riferirsi non soltanto alla compensazione di un deficit, ma anche, e soprattutto, al potenziamento delle proprie risorse comunicative: le potenzialità delle strategie si allarga allora dal singolo enunciato al discorso, dallo sforzo individuale alla gestione cooperativa, dal contesto monoculturale alla negoziazione interculturale, arrivando a coprire (ed anche a sovrapporsi) ad aree di tipo pragmatico-discorsivo come il negoziare significati e intenzioni, il gestire una conversazione, l’esprimere sentimenti e atteggiamenti, fino alla gestione dell’interazione interculturale e dei fenomeni che spesso la accompagnano (malintesi, fraintendimenti, incertezze sul comportamento da tenere, e così via).
Le implicazioni pedagogiche
A questo punto è doveroso chiedersi se strategie di questo tipo possano e debbano essere insegnate.
Possiamo partire, in modo un po’ paradossale, dalle affermazioni di chi ritiene di no. “Ciò che si deve insegnare agli studenti di una lingua non sono le strategie, ma la lingua”, sono le parole con cui si conclude il volume di Bialystok intitolato (!) Communication Strategies (1990: 147); “Insegnate ai discenti più lingua e lasciate che le strategie si prendano cura di sé” (Kellerman 1991:158). Se consideriamo le strategie parte integrante e “naturale” di ogni interazione comunicativa, e non concediamo loro uno status speciale, è facile concludere che esse si imparano contestualmente all’uso. Alla stessa conclusione si può arrivare se si considerano le strategie come le manifestazioni superficiali (linguistiche) di processi cognitivi profondi e inconsapevoli, di per sé non insegnabili. Oppure, si potrebbe sostenere che se in L1 si possiede già una competenza strategica che si trasferisce alla L2, si potrebbero al più insegnare le corrispondenti forme linguistiche in L2. O infine, ci si potrebbe porre domande legittime come: con la pratica di formule strategiche non si rischia di limitare la creatività linguistica e la spontaneità dell’interazione? Non si rischia di forzare gli stili comunicativi personali e culturali e di promuovere comportamenti standardizzati?
A queste prese di posizione si potrebbe rispondere che, almeno in contesti di istruzione formale come la scuola, l’attenzione ai processi, e non solo ai prodotti, dell’apprendimento linguistico si giova spesso di momenti di riflessione in cui le strategie sono portate alla consapevolezza dello studente, e questo costituisce generalmente un vantaggio. L’uso implicito, in altre parole, può giovarsi di una parallela presa di coscienza esplicita. La focalizzazione sulle strategie, cioè su particolari usi linguistici osservabili o per lo meno indagabili, costituisce in questo senso una chiave interpretativa dei processi sottostanti, di per sé non direttamente esplorabili[5]. Quanto al trasferimento “automatico” di una competenza dalla L1 alla L2, non può essere data per scontata, almeno non per tutti: occorre innanzitutto accertarsi se e in quale misura la competenza strategica in L1 sia effettivamente presente, senza dimenticare che le differenze individuali possono costituire un fattore determinante: alcuni possono aver bisogno di una riflessione sull’uso della lingua più “fine” rispetto ad altri, ai quali magari gioverebbe di più un monitoraggio in itinere più consapevole delle proprie abitudini o routines comunicative.
Non bisogna infine dimenticare che le forme linguistiche e i comportamenti non-verbali attraverso cui si realizzano le strategie costituiscono solo una parte, sia pure assolutamente fondamentale, della competenza strategica, che, proprio in quanto competenza e non uso meccanico di formule prefissate, comporta sempre, oltre ad un sapere linguistico utilizzabile in un concreto saper fare, anche un saper essere, cioè delle convinzioni e atteggiamenti appropriati. Ad esempio, usare strategie comunicative in modo consapevole e convinto implica accettare l’idea che si può portare avanti una conversazione anche se non si capisce tutto quello che viene detto; che l’interazione prevede, come abbiamo visto, una sorta di cooperazione tra gli interlocutori; che si può e si deve imparare a correre rischi ragionevoli e a tollerare l’ambiguità. Queste considerazioni valgono anche come risposta all’obiezione secondo cui l’uso di strategie promuoverebbe comportamenti standardizzati e metterebbe in pericolo la spontaneità dell’interazione: al contrario, imparare ad essere strategici significa non soltanto apprendere ad usare delle formule o chunks, ma anche agire in tempo reale, cioè prendere decisioni nel corso dell’interazione, decidendo ad esempio cosa dire o non dire e come dirlo, cosa che implica un certo grado di creatività e un uso personalizzato delle proprie risorse, promuovendo così la flessibilità necessaria per affrontare l’imprevedibile e l’inaspettato.
Le applicazioni
didattiche
Alla luce delle considerazioni appena fatte, la didattica della competenza strategica si qualifica, più che come training o addestramento, come educazione alle strategie, al contempo cognitiva e socio-affettiva, e integrata con un’attenzione puntuale alle convinzioni e agli atteggiamenti. Una didattica di questo tipo assume subito una connotazione trasversale ai curricoli linguistici, in quanto si tratta di sviluppare conoscenze e capacità di per sé trasferibili da una lingua all’altra, sempre nel rispetto dei repertori linguistici individuali. In questo senso, le classi multiculturali, o comunque in cui siano presenti parlanti di L1 diverse, costituiscono un contesto molto favorevole ad attività linguistiche che mettano in risalto anche le strategie comunicative interculturali.
Questo tipo di interventi didattici dovrebbero a mio avviso
· essere espliciti e sistematici, cioè non occasionali o casuali;
· privilegiare un approccio descrittivo e non prescrittivo degli usi linguistici, non fornendo “regole” di comportamento, quanto sviluppando una sensibilità verso un uso consapevole dei mezzi verbali e non-verbali e una presa di coscienza linguistica-culturale;
· partire dagli usi della lingua (compresa la lingua o le lingue così come utilizzate dagli studenti) per esplorare come i parlanti nativi e non nativi gestiscono i problemi nella comunicazione interculturale[6]. I materiali autentici (scritti, audio, video o le innumerevoli risorse su Internet) costituiscono una fonte preziosa, ma anche gli esempi di interazione orale presenti nei libri di testo si prestano a volte molto bene (anche solo per dimostrare quanto spesso siano lontani dagli usi linguistici reali!);
· mettere in evidenza le espressioni linguistiche o marcatori verbali (verbal markers) delle strategie senza mai separarli dai contesti d’uso e dalle restrizioni imposte dalle condizioni socio-culturali.
In definitiva, si tratta di mettere in pratica un approccio esperienziale-riflessivo, che parta dall’esperienza, concreta o virtuale, per ritrovare e mettere in evidenza gli esempi di risorse che lo studente può poi utilizzare in situazioni comunicative diverse. Gli esempi riportati in appendice costituiscono un tentativo di applicare questi principi in un settore per certi aspetti non molto esplorato, e che quindi richiede e consente la massima creatività e fantasia da parte di insegnanti e studenti, chiamati ad essere “osservatori riflessivi” dei comportamenti propri e altrui.
Conclusione
Perché prestare più attenzione alla competenza strategica nell’interazione orale? Riprendendo in sintesi le considerazioni fatte, potremmo rispondere che le strategie comunicative aiutano innanzitutto a rimanere nella conversazione. Da un punto di vista più strettamente linguistico, questo significa, da una parte, ricevere più input (con vantaggi per lo sviluppo progressivo dell’interlingua), e dall’altra a generare più output, aumentando nel contempo la possibilità di ricevere un utile feedback da parte dell’interlocutore. Da un punto di vista più generalmente pedagogico, l’uso di strategie comunicative promuove flessibilità e tolleranza, elementi così importanti nelle interazioni interculturali, e aiuta a migliorare la propria autonomia linguistica e cognitiva. La didattica delle strategie resta però una sfida impegnativa per l’insegnante, soprattutto perché si tratta, non tanto di introdurre nuovi elementi in un curricolo linguistico già affollato, quanto, come ben illustra la Fig. 1, di integrare un approccio strategico nello pratica quotidiana delle attività comunicative.
Riferimenti
bibliografici
Bachman L.F., 1990, Fundamental considerations in language testing,
Oxford University Press,
Bialystok E., 1990, Communication strategies. A psychological analysis of second-language use, Basil Blackwell,
Boscolo, P., 1986, Psicologia dell’apprendimento scolastico, UTET Libreria, Torino.
Byram M., 1997, Teaching and assessing intercultural communicative competence,
Multilingual Matters, Clevedon.
Canale M., Swain M, 1980, “Theoretical
bases of communicative approaches to second language teaching and testing”, Applied Linguistics, 1, pp. 12-25.
Celce-Murcia M., 2007, “Rethinking the
role of communicative competence in language teaching” in Soler
E., Safont Jordá (eds.), Intercultural language use and language learning,
Springer, Dordrect, pp. 7-22.
Consiglio
d’Europa, 2002, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue:
apprendimento, insegnamento, valutazione,
Dörnyei, Z., Scott, M.L., 1997,
“Communication strategies in a second language: Definitions and taxonomies”, Language Learning, Vol. 47, No. 1, pp.
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Kellerman, E., 1991, “Compensatory strategies
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(non-)implications for the classroom” in Phillipson
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L., Sharwood Smith M., Swain M. (eds.), Foreign/second language pedagogy research,
Multilingual Matters, Clevedon, pp. 142-161.
Nelson E., 1989, Teaching communication
strategies, Unpublished manuscript,
Mariani L., 2010, Communication strategies: Learning and teaching how to manage oral
interaction, www.lulu.com
Mariani L., 2012, Le
strategie comunicative interculturali, www.lulu.com
Swain M., 1984, “Large.scale
communicative language testing: A case study” in Savignon
S., Berns M. (eds.), Initiatives in communicative teaching, Addison-Wesley,
Tarone E., Yule G., 1989, Focus on the language learner, Oxford
University Press,
Vettorel P., 2010, “Strategie communicative, plurilinguismo e ELF”, Lingua e Nuova Didattica, Anno XXXIX, No. 3, pp. 13-23.
Appendice: Esempi di
attività didattiche[7]
Una strana tosse
· OBIETTIVI Fare pratica di modi diversi di chiedere aiuto e di esprimere significati
· STRATEGIE Usare esempi; usare definizioni o descrizioni; chiedere aiuto
· CLASSI E LINGUE L’attività può essere svolta in italiano L2 o in una lingua straniera
· RISORSE Scheda
· PROCEDURA Lavorando a coppie, gli studenti si fanno a turno le domande elencate nella Scheda. Lo studente A non può però usare la parola in corsivo nella domanda, facendo invece finta di tossire. Lo studente B deve allora chiedere ad A di ripetere la domanda. A fa degli esempi della parola “vietata” in modo tale che B sia in grado di indovinarla e di rispondere alla domanda originale. Si può dare una dimostrazione, sollecitando gli studenti ad esprimere in vario modo la loro richiesta di ripetizione, ad esempio:
A: Che (tossisce) preferisci?
B: Scusa, non ho capito./Scusa, puoi ripetere?/ Come hai detto, scusa?
A: Che (tossisce) preferisci? Il calcio? Il tennis? Il nuoto?
B: Ah, vuoi dire qual è il mio sport preferito! E’ la pallacanestro.
· VARIAZIONE A coppie, gli studenti si scambiano domande e risposte, ma nelle risposte non possono usare le parole in corsivo nella Scheda: ad esempio, rispondendo alla domanda Che città ti piacerebbe visitare in questo paese? non possono usare i nomi delle città, ma solo definizioni o descrizioni. Dare una dimostrazione di come funziona l’attività, ad esempio:
A: Qual è la tua stagione preferita?
B: E’ quando si può andare in spiaggia, prendere il sole e fare il bagno.
A: Allora ti piace l’estate!
B: Esatto!
evidenziando e/o
fornendo esempi di espressioni che è possibile usare, come E’ quando …/E’
dove …/Si tratta dell’attore che …/E’ una
specie di …
· SCHEDA
Studente A 1. Che colore ti piace di più? 2. Qual è il tuo hobby preferito? 3. Che tipo di libri preferisci? 4. Ti piacciono le verdure? 5. Qual è il tuo gruppo musicale preferito? 6. Quale mese ti piace di più? 7. Qual è il tuo sport preferito? |
Studente B 1. Qual è la tua stagione preferita? 2. Che città italiane ti piacerebbe visitare? 3. Che tipo di film ti piace vedere? 4. Ti piace la frutta? 5. Chi è il tuo attore preferito? 6. Come preferisci viaggiare? 7. Che materia ti piace di più? |
La figura misteriosa
· OBIETTIVI Esercitarsi a trasmettere significati chiedendo e fornendo aiuto al proprio interlocutore
· STRATEGIE Chiedere e fornire aiuto
· CLASSI E LINGUE L’attività può essere svolta in italiano o in una lingua straniera
· RISORSE Scheda
· PROCEDURA
1. Gli studenti lavorano a coppie (A e B), seduti di spalle o comunque in modo tale che il compagno non veda i propri materiali. A deve descrivere una figura a B, in modo tale che quest’ultimo possa disegnarla
2. Se ritenuto opportuno, fare una dimostrazione di come si svolge l’attività e/o richiamare le espressioni utili per chiedere aiuto, e in particolare per controllare di aver capito e per accertarsi di essere stati capiti. Decidere se fornire l’elenco di parole utili citato nella Scheda.
3. Al termine dell’attività, condurre una breve discussione per far emergere le difficoltà incontrate e le strategie utilizzate.
SCHEDA
Descrivi questa figura al tuo compagno in modo che la possa disegnare. Se necessario, ricordati di chiedere aiuto se non capisci, di controllare di aver capito e di controllare che il tuo compagno ti abbia capito. Parole utili: quadrato, cerchio, linea, freccia, stella, angolo, alto, basso |
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Conversare è
collaborare
· OBIETTIVI Considerare i vari modi in cui si può far procedere una conversazione tramite la partecipazione attiva degli interlocutori, in particolare attraverso le strategie di ascolto attivo
· STRATEGIE Tenere aperta la conversazione, mostrando interesse ed incoraggiando l’interlocutore a parlare; usare linguaggi non-verbali
· CLASSI E LINGUE Questa attività può essere svolta in italiano L1, poiché anche i parlanti madrelingua sono raramente consapevoli dei sottili meccanismi, verbali e non verbali, sottostanti lo sviluppo di una conversazione. In alternativa, può essere utilizzata una lingua straniera per i dialoghi ed eventualmente anche per la successiva discussione. Se l’attività viene svolta in gruppi plurilingui (cioè con studenti di L1 diverse), è possibile mettere a fuoco anche le differenze culturali nei modi di favorire la conversazione e di usare le strategie di ascolto attivo
· PROCEDURA
1. Dividere gli studenti a piccoli gruppi e dire loro che stanno per assistere a due dialoghi molto diversi. Chiedere di ascoltare e osservare attentamente per decidere in che cosa consista questa diversità e quali comportamenti, verbali e non-verbali, degli interlocutori li inducono a formulare il loro giudizio.
2. Primo dialogo: l’insegnante chiede ad uno studente di parlagli di qualsiasi argomento per un minuto. L’insegnante ascolta ma mostra scarso interesse con i suoi comportamenti, sia verbali che non verbali.
3. Secondo dialogo: si ripete la stessa procedura con un altro studente, ma questa volta l’insegnante dimostra un chiaro interesse e incoraggia lo studente a procedere nella conversazione.
4. Lasciare qualche minuto perché i gruppi raccolgano le loro impressioni e formulino i loro giudizi su quanto hanno appena ascoltato ed osservato.
5. In una discussione a classe intera, far emergere e sintetizzare le strategie che sono state rilevate per tenere aperta la conversazione. Domande-stimolo possono essere ad es.:
· i due studenti che hanno partecipato ai dialoghi hanno percepito che l’insegnante (non) era interessato e (non) prestava attenzione? Perché sì/perché no? Come si sono sentiti nel corso della conversazione? Come hanno reagito?
· che cosa (non) ha fatto, in modi verbali e non-verbali, nei due casi l’insegnante?
Esempi di strategie che possono incoraggiare lo sviluppo della conversazione sono
· l’uso di domande, “aperte” e “chiuse” (sì/no);
· il ribaltamento della domanda (es. E tu invece?);
· l’aggiunta di commenti ed esclamazioni, che aumentano il senso di empatia e di coinvolgimento emotivo;
· la ripetizione o la parafrasi di quanto appena sentito;
· l’introduzione di nuovi argomenti per incoraggiare l’interlocutore a procedere;
· l’uso di “riempitivi” (come Mmm … sì … e già … davvero?);
· l’uso di un’intonazione ascendente (o discendente/ascendente) per esprimere cortesia e interesse.
6. L’attività può essere ripetuta facendo lavorare gli studenti a gruppi di tre (A, B e C). A parla di un argomento prestabilito per due minuti. B ascolta, partecipando in modo naturale alla conversazione (cioè facendo domande, aggiungendo commenti, ecc. – ma non dimenticando che A è il “protagonista”). C osserva e, con l’ausilio di domande simili a quelle riportate nell’attività precedente, prende nota delle strategie (verbali e non-verbali) che B usa per mostrare interesse e per aiutare A a proseguire agevolmente nella conversazione. Poi gli studenti si scambiano i ruoli, in modo tale che a turno ciascuno giochi uno dei tre ruoli. Segue una breve discussione, prima a livello di gruppo, poi a classe intera.
Scusa se ti
interrompo …
· OBIETTIVI Considerare e fare pratica dei tempi e dei modi in cui si può interrompere in modo cortese chi sta parlando
· STRATEGIE Gestire i turni di parola, in particolare attirando l’attenzione e interrompendo l’interlocutore
· CLASSI E LINGUE Le attività possono essere svolte in italiano o in una lingua straniera. Una classe plurilingue consente di verificare direttamente le modalità in cui si può interrompere il proprio interlocutore in lingue/culture diverse
· RISORSE Questionario; una breve spiegazione di un argomento abbastanza complesso, contenente alcune parole ed espressioni sconosciute o comunque probabilmente poco chiare per gli studenti; Scheda
· PROCEDURA
1. Introdurre l’argomento dicendo che interrompere qualcuno che sta parlando, specialmente se si tratta di una persona sconosciuta o in contesti particolari (ad esempio, l’insegnante in classe), richiede un minimo di tatto e di cortesia. Inoltre, ci possono essere differenze tra le varie culture, sia sui tempi (quando interrompere), sia sui modi (verbali e non-verbali).
2. Gli studenti rispondono al questionario individualmente, poi si confrontano a piccoli gruppi.
3. A
classe intera, raccogliere e discutere le risposte, prestando particolare
attenzione ai casi in cui non esiste un accordo tra gli studenti. Far emergere
le possibili differenze tra culture,
tra contesti (più o meno informali) e
tra individui (modi diversi di
reagire a una stessa situazione). Raccogliere anche le strategie verbali che
man mano vengono citate, ad esempio
a.
Scusi, ma … Scusi, avrei una domanda …Posso/Potrei
fare una domanda/dire una cosa?Posso interrompere un attimo?
b. Excuse me, but …I’m sorry, but …Can/could I ask a question/say
something? Sorry to interrupt, but …Just a quick question, if it’s OK …
Dire agli studenti che ora ascolteranno una breve spiegazione su un argomento abbastanza complesso. Chiedere loro di interrompere quando non conoscono il significato di una parola o quando non hanno capito qualcosa. Invitarli ad utilizzare le strategie verbali e non-verbali che sembreranno loro opportune.
4. Fare le spiegazione, poi discutere con gli studenti:
Se ci sono studenti di italiano L2, chiedere se hanno usato le stesse strategie dei loro compagni italofoni, se hanno avuto difficoltà e se si sono sentiti più o meno a loro agio, e perché. In tal modo, far emergere le possibili differenze culturali e le norme di interazione sottostanti i diversi comportamenti verbali e non-verbali.
6.
Si passa ora ad un lavoro a gruppi di tre: A e B
svolgono una conversazione mentre C funge da “osservatore”. A ogni studente vengono
fornite istruzioni segrete (vedi
7. Gli studenti possono poi ripetere l’attività, scambiandosi i ruoli: l’”effetto sorpresa” andrà perso, ma in compenso si potranno confrontare le strategie utilizzate da studenti diversi per far fronte allo stesso tipo di problemi.
8. Al termine dell’attività, gli studenti condividono e discutono le loro osservazioni utilizzando come punti di partenza le domande nelle “istruzioni segrete” di C.
9. A classe intera, discutere con gli studenti:
· Come si sono sentiti mentre giocavano il ruolo di A? E mentre giocavano il ruolo di B?
· Quali strategie hanno utilizzato gli studenti A per raggiungere il loro scopo? Quali strategie hanno utilizzato gli studenti B?
· Quanto potrebbero essere utili queste strategie nella vita quotidiana? Quando potrebbero essere usate? Sarebbero difficili da mettere in pratica? Ci sarebbero dei pericoli nell’usarle?
NOTA TRANSCULTURALE
Gli atteggiamenti nei confronti dell’interrompere (ad esempio, facendo domande) sono molto diversi da cultura a cultura. Ad esempio, mentre nella cultura nord-americana gli studenti vengono incoraggiati a fare domande e a dimostrare così di prendere parte attiva nella lezione, in altre culture lo stesso atteggiamento non è apprezzato. Ad esempio, un genitore Inuit (Esquimese), parlando con l’insegnante canadese del figlio, che apprezzava la sua partecipazione attiva in classe, rispose scusandosi per il comportamento del figlio. Anche nella cultura cinese i bambini vengono incoraggiati a non parlare troppo e soprattutto a non fare troppe domande.
VARIAZIONE Per rendere l’attività della Scheda più semplice, dare agli studenti dei brevi testi (storie, descrizioni, articoli di giornale). Lavorando a coppie, uno di loro legge a voce alta il testo e il suo compagno lo interrompe in modo cortese per chiedergli di ripetere, di spiegare, di chiarire, ecc. Un terzo studente può fungere da “osservatore” e prendere nota delle strategie verbali e non-verbali che vengono usate da chi interrompe e da chi deve riprendere il filo del discorso interrotto.
QUESTIONARIO
A. Immagina di essere in classe mentre l’insegnante sta spiegando. La/o interromperesti per chiedere chiarimenti o spiegazioni? Se sì, cosa diresti?
1. La/o interrompo direttamente, nel mezzo di una sua frase, per farle/gli una domanda o un commento. 2. La/o interrompo alla fine della frase. 3. Aspetto che abbia finito di parlare di un certo argomento o fa una pausa. 4. Alzo la mano in silenzio e aspetto. 5. Le/gli faccio capire che ho bisogno di interromperla/o con un’occhiata o un’espressione del volto. 6. La/o interrompo ma mi scuso per l’interruzione. 7. Faccio una domanda o un commento ad un compagno mentre l’insegnante sta parlando. 8. Faccio una domanda o un commento ad un compagno alla fine della spiegazione. |
Sì |
Forse |
No |
B. Confrontati con altri compagni.
· Prendete nota in particolare delle risposte su cui non siete d’accordo.
· Ci sono differenze tra le varie culture?
· Ci possono essere differenze all’interno della stessa cultura? In quali casi, per esempio?
SCHEDA
Istruzioni segrete per A:
Hai tre minuti per raccontare al tuo compagno una storia (vera o di finzione, che riguarda te o altri).
Istruzioni segrete per
B:
Il tuo compagno ti racconterà una storia. Cerca di impedirgli di arrivare alla fine della storia interrompendolo man mano (ad esempio, facendogli domande o chiedendogli dei dettagli), ma sii cortese e tenta di non annoiarlo o irritarlo!
Istruzioni segrete per
C:
Osserva e ascolta attentamente A e B mentre parlano. Concentrati su questi punti:
· Che cosa stanno cercando di fare A e B? Qual è il problema nella loro conversazione?
· Che strategie usano per raggiungere il loro scopo? Prendi nota di tutte le strategie, verbali e non-verbali, che riesci a identificare.
· La conversazione “scorre”? Se non scorre, perché?
A e B parleranno per tre minuti. Avvisali quando mancano 30 secondi al termine.
Di cosa si può
parlare?
· OBIETTIVI Riflettere su come gli argomenti accettabili o da evitare nella conversazione siano diversi a seconda delle culture; considerare le strategie con cui è possibile fare o evitare di rispondere a domande personali
· STRATEGIE Evitare o cambiare argomento; gestire l’incertezza sul comportamento accettabile, in particolare riguardo alle possibili domande da fare o da evitare
· CLASSI E LINGUE Una classe plurilingue consente di verificare direttamente i tipi di argomenti accettabili o da evitare in culture diverse
· RISORSE Questionario; scheda
· PROCEDURA
1. Chiedere agli studenti se è mai capitato loro di fare una domanda su un argomento che ha imbarazzato l’interlocutore. Ad esempio, è possibile in italiano fare domande come Quanto guadagni al mese? o Di che religione sei? Hanno avuto esperienza di domande imbarazzanti che hanno fatto a stranieri o che sono state loro fatte da stranieri? Che tipo di argomenti è di solito meglio evitare tra persone che non si conoscono? C’è differenza tra le varie lingue/culture di cui gli studenti hanno esperienza (comprese le lingue materne presenti in classe, diverse dall’italiano)?
2. Gli studenti rispondono al questionario individualmente, poi si confrontano a piccoli gruppi.
3. A classe intera, raccogliere e discutere le risposte, prestando particolare attenzione alle domande su cui non esiste un accordo tra gli studenti. Costruire gradualmente un elenco di argomenti (e di aspetti di argomenti) che è consigliabile evitare o trattare con cautela, in italiano ed eventualmente nelle altre lingue presenti in classe. Far notare come le culture si differenzino, ma anche come le differenze dipendano dalla sensibilità individuale, oltre che dal contesto).
4. Far lavorare gli studenti, a gruppi, sulla Scheda.
5. A classe intera, raccogliere e sintetizzare le risposte degli studenti, sia verbali che non verbali. Sottolineare il fatto che anche in situazioni a volte imbarazzanti o in cui non si sa esattamente come comportarsi è possibile mettere in atto strategie che almeno in parte aiutano a gestire l’interazione, evitando se possibile malintesi e irritazioni. A titolo di esempio, specialmente se non sono emerse strategie verbali specifiche, citare strategie come:
·
Vorrei
farle una domanda, ma non sono sicuro se si tratta di una domanda personale per
lei/se viene considerata troppo personale qui/nella sua cultura
·
Mi scusi
se le ho fatto una domanda troppo personale. Da noi è una domanda che si fa
spesso
·
Spero di
non averle fatto una domanda troppo personale/mi dica se questa domanda è
troppo personale
· Scusi, ma preferirei non rispondere a questa domanda
· Scusi, ma per me è difficile rispondere a questa domanda
NOTA TRANSCULTURALE
In molte culture occidentali non è consigliabile fare domande sull’età del proprio interlocutore. Nella cultura cinese, invece, molte persone anziane hanno piacere a sentirsi chiedere quanti anni hanno, perché possono affermare di aver vissuto una lunga vita. In modo simile, mentre di solito nel mondo occidentale non si chiede direttamente a qualcuno quanto pesa, nella cultura vietnamita spesso è comune e accettabile una domanda di questo tipo.
QUESTIONARIO
A. Supponi che due persone che non si conoscono o si conoscono poco stiano conversando. Secondo te sarebbero accettabili o da evitare le seguenti domande, in italiano e nella tua lingua materna (se diversa dall’italiano)?
Domanda |
Italiano |
Lingua ……… |
1. Quanto ha pagato la sua auto nuova? 2. Quanto guadagna al mese? 3. Quanti anni ha? 4. Quanto pesa? 7. E’ sposato/a? 8. Ha figli? 9. Che lavoro fa sua moglie/suo marito? 11. Quando ha intenzione di sposarsi? 12. Pensate di avere figli presto? 13. Perché non avete figli? 14. Per che partito pensa di votare? 15. Che cosa pensa di fare dopo l’università? |
|
|
B. Ora supponi che stiano conversando un ragazzo e una ragazza che si sono appena conosciuti. In questo caso secondo te sarebbero accettabili o da evitare le seguenti domande, in italiano e nella tua lingua materna (se diversa dall’italiano)?
Domanda |
Italiano |
Lingua ……… |
1. Quanti anni hai? 2. Dove hai comprato quei jeans? 3. Quanto li hai pagati? 4. Che lavoro fa tuo padre? 5. Hai il ragazzo/la ragazza? 6. Di dove sei? 7. Com’è la casa dove abiti? 8. Ti piace vivere in Italia? 9. Sei mai stato all’estero? 10. Usciamo sabato sera? |
|
|
C. Confrontati con altri compagni.
· Prendete nota in particolare delle risposte su cui non siete d’accordo.
· Ci sono differenze tra le varie lingue/culture?
· Ci possono essere differenze all’interno della stessa lingua/cultura? In quali casi, per esempio?
SCHEDA
Discutete queste domande, prendendo nota delle diverse risposte date nel vostro gruppo.
· Che cosa (non) fareste e/o (non) direste, in una conversazione con una persona che non conoscete o conoscete poco
o se, prima di fare una domanda, non foste sicuri se questa abbia un carattere personale?
o se, appena fatta la domanda, vi venisse il dubbio che si tratti di una domanda troppo personale?
o se preferireste non rispondere direttamente ad una certa domanda?
· Sarebbero diverse le vostre strategie se il vostro interlocutore parlasse un’altra lingua?
[1] I testi originali in inglese sono stati tradotti in italiano dall’Autore.
[2] Questo esempio è citato in Nelson 1989. La confusione è tra sail /seIl/ = fare della vela, andare in barca a vela, e sell /sεl/ = vendere.
[3] Questo esempio è adattato da Mariani 2012.
[4] Per una visione storica della ricerca sulle strategie comunicative e dei diversi approcci adottati si veda ad esempio Dörnyei e Scott 1997.
[5] La distinzione tra strategie e processi è un tema complesso: si veda ad esempio una chiara discussione in Boscolo 1986.
[6] Le interazioni tra parlanti non-nativi (come ad esempio gli stessi studenti) costituiscono un campo di indagine molto proficuo, considerando anche quanto oggi diverse lingue, a partire dall’inglese, siano spesso utilizzate come lingue franche (si vedano in proposito Vettorel 2010).
[7] Le attività, qui presentate in modo sintetico, sono tratte da Mariani 2012 (per una versione inglese si veda Mariani 2010; entrambi i volumi sono disponibili su www.learningpaths.org). Gli esempi qui forniti sono in italiano, sia per sottolineare che le attività si prestano spesso all’insegnamento dell’italiano L2 (e a volte anche L1), sia per renderle pienamente comprensibili a insegnanti di lingue diverse. Variando i contenuti, le stesse attività possono essere eseguite a livelli diversi di complessità.
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Luciano Mariani, Milano